Scoppia la guerra dei conti all’indomani della sentenza della ‘Cassazione’ della Corte dei Conti sul rendiconto generale del 2019. La decisione romana che annulla la parifica pronunciata dalle Sezioni riunite per la Regione della stessa Corte, comporta una ulteriore compensazione di 8 milioni e mezzo sul fondo crediti di dubbia esigibilità ma soprattutto solleva questione di legittimità costituzionale di una legge del 2016 che ha spostato sul Fondo sanitario regionale il pagamento di un mutuo per il ripiano del così detto piano di rientro in sanità

Nessun effetto per la Regione

Nessun effetto devastante dalla decisione sui conti della Regione siciliana secondo l’amministrazione. Appaiono sereni gli esperti fra i corridoi della sede di via Notarbartolo dell’assessorato regionale all’Economia. Per ciascuno delle decisioni assunte c’è già un pacchetto di contromisure per evitare proprio effetti in cascata. Sarà necessario solo un passaggio di governo e, forse, in Parlamento per scegliere quale delle possibili strade prendere.

La rivalutazione del “fondo crediti di dubbia esigibilità”

Il primo aspetto della decisione riguarda la rivalutazione del “fondo crediti di dubbia esigibilità” che per la Corte romana passa da 34 milioni e 992 mila euro a 43 milioni e 503 mila euro creando nei conti un ulteriore buco da coprire pari a poco più di 8 milioni e mezzo. Di fatto si tratta di somme che la Regione aveva inserito come “da incassare” che invece vengono considerate crediti non più incassabili e dunque da cancellare dal bilancio. Una correzione che si dovrà aggiungere a quelle effettuate con la legge regionale approvata la scorsa settimana.

La contromisura

La decisione riforma la sentenza di parifica che era stata pronunciata dalla Corte dei Conti della Sicilia a sezioni riunite. In realtà la sentenza ‘ di riforma’ di quella decisione potrebbe non avere alcun effetto, dicono dall’assessorato Economia, perché sulla base del primo pronunciamento della Corte dei Conti siciliana è stata approvata una legge che adegua il rendiconto generale del 2019 alle prescrizioni. La copertura c’è già anche per gli 8 milioni e mezzo di differenza. Dunque la Regione adesso ha la possibilità di scegliere due strade, entrambe risolutive: portare all’ars una leggina che corregga questo aspetto e lo adegui alla nuova decisione oppure ricorrere alla Corte Costituzionale. In assessorato, infatti, dubitano che si possa modificare una legge attraverso una sentenza.

L’eventuale conflitto verrebbe sollevato per sancire un principio e non certo per recuperare gli 8 milioni e mezzo che non rappresentano un problema nel bilancio (peraltro a copertura esistente).

La questione di legittimità costituzionale

Con separata ordinanza la Corte dei Conti in speciale composizione ha poi sollevato davanti alla Corte Costituzionale la questione di legittimità dell’articolo 6 della legge regionale numero 3 del 17 marzo 2016.

Di fatto si tratta delle disposizioni programmatiche e correttive del 2016 approvate durante il governo Crocetta. In quella norma l’articolo sei spostava a carico del Fondo sanitario il pagamento delle quote residue di un prestito sottoscritto per effetto di un accordo con il Ministero dell’Economia che serviva a ripianare il disavanzo della Regione in materia sanitaria, il così detto piano di rientro. Dal bilancio 2016 in poi le rate di quel prestito sono state pagate con i soldi del Fondo per la sanità.

640 milioni ballerini

Se gli ermellini dovessero dichiarare quella norma incostituzionale senza salvare gli effetti prodotti nelle more della sentenza di fatto la somma delle rate pagate ammonterebbe, ad oggi, a circa 640 milioni che, secondo le opposizioni e la stessa procura contabile della Corte a Roma, andrebbero ‘trovati’ nelle pieghe del bilancio regionale. Insomma si creerebbe un nuovo buco non certo da poco.

Nessun effetto sui bilanci

Dall’assessorato in prima analisi fanno notare che la norma sulla quale viene sollevato il conflitto è figlia del governo Crocetta – Baccei riferendosi all’assessore all’economia di allora. Si tratta di una legge mai impugnata dal Consiglio dei Ministri e come tale in  vigore. La legge si applica e dunque nessuna delle poste effettuate dal 2016 ad oggi può essere considerate illegittima. A tutt’oggi la norma è in vigore.

Pochi rischi anche in caso di dichiarazione di incostituzionalità

Se anche la norma fosse dichiarata incostituzionale questo difficilmente potrà incidere su bilanci ormai consolidati. In casi come questi le decisioni della Suprema Corte tendono a sanare quello che è avvenuto in vigenza di norma. E se anche così non avvenisse si potrebbe intervenire con una legge successiva per sanare la situazione che sia essa una norma regionale o nazionale.

Tanto rumore per nulla

Per tutti questi motivi la ‘dirompente’ decisione romana viene considerata priva di efficacia reale. Insomma tanto rumore per nulla o forse solo per dare voce alle opposizioni