È la fine di tutto. La fine degli uomini, degli eroi, degli dèi, degli ideali di amore, di libertà, di purezza. Un’opera colossale, il Götterdämmerung di Richard Wagner, con cui il grande compositore conclude il suo “Ring”, la Tetralogia dedicata al mito nordico dei Nibelunghi.

Con quest’opera, riletta dal grande regista anglosassone Graham Vick – uno dei protagonisti della scena teatrale contemporanea – il Teatro Massimo di Palermo apre il prossimo 28 gennaio la sua stagione lirica 2016, chiudendo una grande produzione che si è aperta nel 2013 con la messa in scena delle prime due parti della Tetralogia – Das Rheingold (L’Oro del Reno) e Die Walküre (La Valchiria) – e che è proseguita un mese fa con la terza parte, Siegfried (Sigfrido).

Un progetto di vaste dimensioni concepito proprio per la città di Palermo a partire dagli spazi del suo teatro, che ha riscosso un grande successo di pubblico e critica. Sul podio c’è Stefan Anton Reck, che al Massimo è stato direttore musicale dal 1999 al 2003, dopo essere stato dal 1997 al 2000 assistente di Claudio Abbado, e oggi riconosciuto tra i massimi conoscitori della musica di Mahler e della seconda Scuola di Vienna.

Per l’occasione, alla prima dell’opera saranno presenti a Palermo quaranta critici italiani e stranieri oltre che una folta rappresentanza dell’associazione dei wagneriani di Dusseldorf, città che ospiterà in un cinema da quattrocento posti la trasmissione dello spettacolo.
L’opera, ripresa da cinque telecamere presenti anche sul palcoscenico, sarà trasmessa in diretta su Radiotre e in streaming sul sito del Teatro.

Trecento posti alla prima saranno riservati all’associazione Giovani del Teatro, i quali – con la collaborazione degli ambasciatori del Teatro Massimo – hanno realizzato un video anch’esso sul sito del Teatro in cui la trama della monumentale Tetralogia viene rappresentata attraverso pupazzi. Un modo per rendere lineare e “facile” la lettura di un ciclo complesso. Sulla stessa linea l’iniziativa voluta da Vick nel programma di sala, che si apre – così come già per Siegfried – con un “riassunto” delle due opere precedenti concepito come un fotoromanzo: la trama delle tre opere è ripercorsa attraverso fotografie dove i personaggi “parlano”, proprio come in un fumetto.

Götterdämmerung è l’ultima parte del ciclo composto lungo ben 26 anni (dal 1848 al 1874) ma fu la prima a essere concepita. Wagner partì infatti dall’idea di comporre un dramma musicale dedicato alla morte di Sigfrido, poi rielaborato come Götterdämmerung. Si accorse però che per raccontare la vicenda dell’eroe bisognava risalire alla sua giovinezza (infatti il titolo originario di Siegfried era Der Junge Siegfried, cioè Il giovane Sigfrido) e poi ancora agli antenati e all’origine del mondo. Da qui la scrittura dei libretti dei precedenti tre drammi e, a quel punto, la composizione della musica.

Quasi sei ore di spettacolo, compresi gli intervalli, in cui Wagner conclude il suo Ring distruggendo ogni illusione e lasciandosi alle spalle – scrive Elisabetta Fava nel programma di sala – “non solo il mondo ormai impotente e sconfitto degli dèi, ma anche quella natura primigenia, rigogliosa, libera, che costituiva lo scenario del Siegfried e l’habitat del giovane eroe. Caduti gli dèi, cadono ora anche gli eroi, capovolgendo il mito cristiano del Figlio che redime il mondo; qui le colpe dei padri celesti ricadono invece sui loro figli umani e li trascinano verso la catastrofe”. Vick ne fa uno spettacolo contemporaneo “con un finale di nichilismo – racconta il regista – ma non di un nichilismo negativo. La cosa importante è avere la speranza fino alla fine, però la fine è la fine. Anche la creazione e la distruzione sono due parti della stessa cosa”.

Anche questa volta, come nel Siegfried, ci sarà la spazzatura in scena, a rappresentare la decadenza, la corruzione, la degenerazione. La fine di un ciclo. “Dopo il tradimento e la morte di Siegfried – scrive Marco Brighenti nel programma di sala – Brünnhilde comprende come la colpa risieda nella separazione originaria dal tutto e come solo la fine di un ciclo possa portare a una nuova alba: solo ora lei, che per amore aveva rinunciato alla divinità, compie la sua personale rinuncia all’amore ridonando l’anello alle figlie del Reno e ripristinando così l’equilibrio originario”.

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