Ucciso e sciolto nell’acido solo perché figlio di un mafioso che Cosa nostra voleva convincere a non collaborare più con la giustizia. Oggi politica e istituzioni ricordano quell’uccisione cruenta, che ha segnato per molti l’inizio di un’era, quella in cui la cosa nostra non aveva pietà nemmeno per i bambini. Era l’11 gennaio del 1995 Era l’11 gennaio del 1996 quando il piccolo Giuseppe Di Matteo, in un casolare nelle campagne di San Giuseppe Jato, veniva strangolato e sciolto nell’acido dai suoi carcerieri: Giuseppe Monticciolo, Enzo Brusca e Vincenzo Chiodo. I tre assassini erano stati mandati lì dal boss Giovanni Brusca che aveva ordinato: “Alliberateve de lu cagnuleddu”.

Oggi, come ogni anno la commemorazione per tenere vivo il ricordo del piccolo innocente Di Matteo. Presente, oltre a politici ed autorità, il fratello della vittima, Nicola. A rappresentare il presidente della Regione, nello Musumeci, c’era l’assessore Lagalla. “Con la mafia non possono essere fatti patti, con la mafia non possono essere fatte intese. Così come è stato tragicamente e per tanto tempo, una consuetudine di queste terre, dove la mafia matura soprattutto nel contesto della ignoranza e della subordinazione di alcune persone. Credo fortemente che, come tante volte si è detto, e che va ribadito, l’azione più importante contro la mafia, come diceva Gesualdo Bufalino, è quello di una educazione civica forte, importante, un’azione culturale profonda, che coinvolga sin da bambini i cittadini di domani a un rifiuto culturale, intellettuale, sociale”. Questo ha detto l’assessore all’Istruzione durante la celebrazione del ricordo del piccolo Giuseppe di Matteo.

La commemorazione prima in chiesa, poi al municipio di Altofonte. “Un ricordo forte perché rappresenta il momento nel quale la mafia ha veramente perso – ha detto il sindaco di Altofonte, Angela De Luca -. Il movimento nel quale le persone comuni si sono rese conto della brutalità e della crudeltà della mafia. Quindi oggi è una giornata di rinascita. Altofonte in questi anni sicuramente è cambiata in meglio, perché la coscienza civica cambia.

A San Giuseppe Jato Di Matteo venne tenuto prigioniero. “Ho capito soltanto in quel luogo la brutalità della mafia – aggiunge il sindaco – Ho capito che in quel luogo non poteva essere tenuto nemmeno il peggiore degli animali, figurarsi un bambino. Tenere un ragazzino là dentro è stato un atto di una brutalità immane e soltanto andando in quel luogo si può capire e percepire la violenza della mafia. Non è detto che tutti i figli di mafiosi diventino tali. LO si può capire oggi guardando Nicola. Il fratello di Giuseppe ha una grande ferita nel suo cuore. Oggi si porta dietro le condanne, come tanti ragazzi, di avere avuto genitori, zii e nonni mafiosi.

Di “crimine grave, pesante e inumano” parla l’avvocato Monica Genovese famiglia Di Matteo. “Oggi siamo qui a ricordare Giuseppe e a ricordare però anche Nicola che ha fatto una scelta di assoluta dissociazione e quindi di importante svolta rispetto al passato. Lanciamo da Altofonte una sfida, un’ora di didattica per Giuseppe Di Matteo, tutte le scuole d’Italia, stanno scrivendo e disegnando per ridare cuore al piccolo Giuseppe Di Matteo.
Noi chiediamo solo alla gente di avere il coraggio di dire da quale parte sta.

Presente anche Nicolò Mannino, presidente del Parlamento della Legalità Internazionale. “Spesso si sente dire che la mafia sia nata sulla base di codici d’onore, a difesa di valori antichi, per imporre quei valori di giustizia che lo Stato non assicura – ha setto –  Tanti, ancora oggi, si rivolgono ad uomini d’onore per ottenere giustizia, lavoro, riconoscimento di diritti negati, perché la mafia è stata capace di costruire intorno a sé un ampio consenso sociale, diffondendo falsi miti, come quello che essa sia nata a difesa della ‘famiglia’, avendo un sacro rispetto di donne e bambini. Che lo si vada a dire ai familiari di Giuseppe Di Matteo, soffocato e poi sciolto nell’acido affinché non rimanesse traccia del suo cadavere 25 anni fa, dopo esser stato rapito 779 giorni prima, quando aveva neanche 13 anni, per dissuadere il padre dal collaborare con gli inquirenti fornendo informazioni decisive per contrastare Cosa Nostra”.

Celebrazioni anche a Palermo dove il sindaco Leoluca Orlando si è recato al campo ostacoli della Favorita, intitolato al bambino ucciso dalla mafia per ricordare quel tragico atto criminale.  “Il volto sorridente di un bambino che sul suo cavallo che salta un ostacolo e il volto tragico, criminale di un contesto, anche familiare, di mafia e di violenza. L’intitolazione di questo splendido campo al ricordo del piccolo Di Matteo – ha dichiarato il sindaco – è stata l’occasione per confermare la prevalenza di una cultura di vita rispetto ad una cultura di morte, per dire no ad un sistema di potere criminale mafioso che aveva il volto dello Stato e delle istituzioni e che mortificava i valori fondamentali della vita: l’amore, la famiglia, i bambini, la pace, la convivenza civile. Tutto questo in un indimenticabile giorno nel quale abbiamo intitolato questo spazio insieme con Rita Borsellino e Antonino Caponnetto. E distanti da noi, appartati, con una profonda tristezza il nonno e la nonna del piccolo Di Matteo, a testimonianza di una società, di una famiglia, di un contesto che aveva operato secondo metodi mafiosi, che stava raccogliendo le conseguenze di una violenza imposta agli altri e adesso drammaticamente subita”.

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