Pochi la conoscono per quanto possa considerarsi esemplare. E’ la storia di Lia Pipitone, uccisa a soli 25 anni il 23 settembre del 1983 nel corso di una simulata rapina in gioielleria. La sua colpa? Apparteneva a una famiglia mafiosa ma non si era piegata alle regole di Cosa nostra.

Aveva deciso di separarsi dal marito ma ciò non le era consentito dal “moralismo perbenista” mafioso. Il padre, boss dell’Acquasanta e uomo di Totò Riina, avrebbe detto: “Meglio morta che separata” e avrebbe avallato l’omicidio della figlia. Del quale solo da poco, dal luglio del 2018, è stato accertato dai giudici la matrice mafiosa.

Raccontare una storia così atroce, nella quale emerge la feroce crudeltà della mafia, è tanto complicato quanto necessario. E soprattutto raccontarla alle nuove generazioni.

Ci ha provato Clelia Lombardo, scrittrice colta e insegnante di Liceo, educatrice sensibile ai temi civili e ai diritti delle donne.

Il suo “La ragazza che sognava la libertà” (sottotitolo, “Storia di Lia Pipitone, giovane vittima della mafia”), Gruppo editoriale Raffaello, ricostruisce le vicende di quell’efferato delitto per tanti anni dimenticato e consegna alla nostra memoria – e in primo luogo a quella dei ragazzi a cui il romanzo è destinato – il coraggio di una giovane donna capace di infrangere le regole spietate e liberticide dell’ambiente mafioso in cui era cresciuta.

“La ragazza che sognava la libertà” è un romanzo per ragazzi. Scritto con la leggerezza che si addice al genere, alla quale però si accompagnano una ferma denuncia della mafia e un apprezzabilissimo taglio educativo. Per ottenere tanto, Clelia Lombardo ricorre a una finzione letteraria: protagonista del racconto è Caterina, una bambina come tante, appena dodicenne immersa nel suo universo pre-adolescenziale, che casualmente ascolta al telegiornale – seguito ogni sera religiosamente dal padre giornalista – la notizia della sentenza che riconosce la natura mafiosa dell’omicidio di Lia Pipitone.

Quella storia incuriosisce la piccola Caterina che dai genitori, e soprattutto dal padre, scoprirà tutto quello che voleva sapere e, insieme ai particolari dell’amarissima vicenda, il volto spietato della mafia. I genitori la condurranno per le strade e le piazze di Palermo, dove in molti angoli lapidi e scritte testimoniano i crimini della mafia e dove i tantissimi monumenti – espressione di una bellezza frutto di un sincretismo culturale che poche città possono vantare – fanno da contraltare all’inciviltà della mafia.

Leggerezza e denuncia dunque nel romanzo di Clelia Lombardo, in cui la voce narrante è quella di Caterina. Scrittura semplice e accattivante nel romanzo “La ragazza che sognava la libertà”: ciò che occorre per calamitare l’attenzione delle nuove generazioni troppo distratte dagli smartphone, dalle chat e da una “realtà” virtuale pericolosamente fuorviante.

Col romanzo, al modico prezzo di 9 euro, anche un utilissimo opuscoletto, “Report”, che, in appena 48 pagine, illustra, con chiarezza e felicissima sintesi, la mafia, spiegando l’origine della parola e l’evoluzione del fenomeno, racconta il periodo delle stragi e le sue vittime – soffermandosi naturalmente solo su quelle più emblematiche (per includerle tutte sarebbe occorso un trattato) -, rivela le iniziative promosse per contrastare Cosa nostra, non tralasciando un cenno sui principi della Costituzione e sull’ordinamento giudiziario.

Nell’opuscoletto anche un breve paragrafo sulle donne e la mafia, tema interessantissimo.
Ci si auspica che “La ragazza che sognava la libertà” – che si è aggiudicato il premio Rita Atria al Kaos Festival – venga adottato, per il suo assai significativo proposito didattico, da tanti istituti scolastici, non solo siciliani.