Sono giorni febbrili per la politica siciliana e palermitana in vista delle elezioni regionali e della corsa a sindaco di Palermo. Vi proponiamo la riflessione di Pietro Busetta, coordinatore di Unità Siciliana-Le Api e di Mezzogiorno Federato a Palermo. Busetta è statistico ed economista nonché consigliere di amministrazione della Svimez.

Le contraddizioni di una società immatura

Busetta scrive a proposito di quelle che ritiene “le contraddizioni di una società immatura”.
Spiega meglio: “Da poco si è commemorato l’anniversario della morte per mano mafiosa di Pio La Torre e di Rosario Di Salvo. La fiction su Felicia Impastato ci ha commosso tutti.
Mi sembrano ricordi doverosi, e le manifestazioni numerose e partecipate in tutta la Sicilia dimostrano una sensibilità ampia.
Ma forse qualche considerazione può essere fatta. La commemorazione è il senso di non dimenticare come la mafia abbia fatto vittime numerose, per cui ci troviamo periodicamente a ricordare i nostri eroi, che hanno sacrificato la loro vita per il bene comune.
Ma i comportamenti dovrebbero essere forse più coerenti e gli stessi che oggi sono a commemorare i caduti dovrebbero contemporaneamente fare molti distinguo rispetto alla provenienza dei voti e gli appoggi che si accettano quando ci si candida”.

La polemica è aperta

“La polemica è aperta – prosegue Busetta. ‘Mi indigna che persone condannate per mafia, per partecipazione esterna, per favoreggiamento aggravato, continuino a far politica e pretendano a esempio di stabilire chi deve fare il sindaco a Palermo. Mi indigna moltissimo perché vuole dire che le nostre sentenze non valgono niente’. E’ la denuncia di un procuratore alla Feltrinelli di Palermo durante la presentazione del libro di Salvo Palazzolo, “I fratelli Graviano”.
Senza voler condannare nessuno alla morte sociale e rispettando coloro che hanno scontato la loro pena e che non hanno più i diritti civili all’elettorato attivo e passivo, segno di una condanna della giustizia molto dura, mi chiedo come i candidati si devono comportare rispetto all’appoggio pubblico di coloro che sono stati condannati per reati collegati alla mafia”.

La condanna della magistratura e la società civile

Busetta argomenta meglio: “Da una parte vi sono alcuni diritti garantiti della Costituzione e fintanto che questi vengono utilizzati nessuno può stupirsi. Certo Il fatto grave è che la condanna della magistratura spesso non coincida con quella della società civile. Peraltro anche i media non sembra si siano scandalizzati più di tanto di tale andamento.
Quindi da un lato commemoriamo coloro che sono stati eliminati da mano mafiosa e dall’altro diamo agibilità politica, peraltro consentita dalle norme, a coloro che la mafia, secondo sentenze passate in giudicato, in qualche modo l’hanno aiutata. Una qualche contraddizione forse in tutto questo c’è. Ed un dibattito andrebbe aperto rispettando tutte le posizioni”.

La lotta alla mafia è ancora lunga

Il coordinatore di Unità Siciliana-Le Api e di Mezzogiorno Federato a Palermo conclude: “Evidentemente dimostra che la condanna della magistratura non corrisponde ad una condanna sociale e che le due cose vanno in direzione opposta. Per questo la strada da fare nella condanna e nella lotta alla mafia ancora è lunga. Certamente diventa indispensabile che si sostituisca una classe politica che non ha alcun timore a fare accordi con chiunque possa fornire voti che vengono raccolti, piuttosto che uno per uno come si dovrebbe, con le reti gestite dai capi popolo. Per questo è necessaria una forza politica che abbia come obiettivo il bene comune e non la protezione dei propri amici e degli amici degli amici”.

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