A Matteo Messina Denaro si contesta non soltanto di essere un mandante delle stragi di Capaci e di via D’Amelio e di aver avuto un ruolo importante nell’ideazione e nell’esecuzione di quei piani; gli si contesta anche la finalita’ terroristica, perche’ dalla lettura degli atti e da tutte le attivita’ giudiziarie emerge che l’eliminazione di Falcone, Borsellino e altri, finalita’ che preesisteva nelle idee dei vertici mafiosi, viene poi inserita nel contesto stragista non solo per eliminare i nemici di Cosa nostra ma per creare un effetto panico nella popolazione, per sfruttare in chiave eversiva la debolezza e la divisione interna del quadro politico e destabilizzare le istituzioni in modo da poter poi dettare le proprie condizioni allo Stato da una posizione di forza”.

Lo ha detto a Voci del Mattino, su Radio1 Rai, il colonnello Giuseppe Pisano, capo del Centro operativo della Dia di Caltanissetta.

L’adesione di Messina Denaro alla strategia stragista di Riina – ha aggiunto – non fu mera obbedienza agli ordini dello stesso Riina ma fu partecipazione attiva e condivisione degli scopi, tant’e’ che dopo l’arresto di Riina, nel gennaio 1993, le stragi a Roma, Milano e Firenze proseguirono. E proseguirono per volonta’ dei Bagarella, dei Graviano e di Matteo Messina Denaro, che ebbe una partecipazione attiva. Riina aveva creato due gruppi di fuoco, uno operativo a Roma e l’altro a Palermo. Li chiamava la ‘Supercosa’, come risposta alla Superprocura, all’organizzarsi istituzionale dell’antimafia. Questi due gruppi di fuoco avevano degli obiettivi ben precisi, cioe’ i nemici giurati di Cosa nostra, Falcone e Martelli in primis.

La ‘Supercosa’ – ha spiegato il colonnello Pisano – rappresentava anche una sorta di violazione delle regole interne dell’organizzazione mafiosa, perche’ i due gruppi di fuoco erano svincolati da qualunque forma di controllo da parte della commissione regionale di Cosa nostra ed erano alle dirette dipendenze di Riina”.

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