Sta raccontando la sua verità Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, sulla cosiddetta trattativa Stato Mafia tra parti dello Stato e la Mafia a ridosso del 1992 e 1933.

In queste ore lo stanno sentendo i giudici della corte d’assise nell’aula bunker dell’Ucciardone. Ciancimino è imputato al dibattimento di concorso in associazione mafiosa e calunnia ed è al tempo stesso tra i principali testi dell’accusa.

Ad assistere all’esame numerosi esponenti del movimento antimafia Agende Rosse.

Il figlio dell’ex sindaco sta ribadendo in aula quanto in questi anni ha già raccontato più volte. “Ho fatto da tramite nello scambio di ‘pizzini’ tra mio padre e Provenzano per molto tempo. Mio padre era molto cauto nel gestire la corrispondenza: li apriva con i guanti in lattice, li fotocopiava e poi li bruciava”.

Ha detto Ciancimino che ha raccontato di avere fatto da intermediario anche tra il padre e Totò Riina. “Quando arrivava una lettera di Riina, che lui non stimava per niente, era un momento di ilarità”, ha aggiunto alludendo al fatto che le lettere erano sgrammaticate. Ciancimino avrebbe preso da Antonino Cinà i messaggi del capomafia e di avere saputo solo nel 1992 che venivano da Riina. Quelli per e da Provenzano li gestivo io direttamente anche tra maggio e dicembre del 1992″.

“Provenzano si muoveva liberamente grazie a degli accordi che erano stati stretti in anni passati, me lo disse mio padre”. Ha aggiunto. “Mi spiegò che tanto Provenzano non lo cercava nessuno e che godeva di tutela e si muoveva tranquillamente”. “Lui si poteva muovere nel territorio italiano – ha osservato – e aveva potuto prendere la guida di Cosa nostra per fermare l’escalation di violenza che aveva avviato Riina e che questo rientrava negli accordi che aveva siglato con le istituzioni”.