L’occhio clinico applicato ai capolavori dell’arte per diagnosticare un patologia o un difetto congenito nelle figure ritratte. E’ l’inizio di un viaggio che conduce alla scoperta di dettagli sorprendenti, ignorati dalla critica, e portati alla luce grazie ad un approccio “diagnostico” nello studio dei dipinti.
La storica dell’arte Silvia Mazza ha sottoposto alcune opere, tra cui alcune tra le massime rappresentazioni della pittura in Sicilia, come il “Polittico di San Gregorio” di Antonello da Messina, “l’Annunciata” di Palermo dello stesso, e poi Botticelli, Raffaello, Michelangelo, alla valutazione di un medico con la passione per l’arte. Il dott. Alessandro Raffa, specialista in Medicina Interna e Medicina d’Urgenza, è uno degli angeli impegnati in prima linea nell’emergenza da Covid-19 in “Medicina e Chirurgia di Accettazione e di Urgenza” all’Arnas Ospedale civico di Palermo. Perfezionato in Reumatologia e cultore della stessa disciplina presso l’Università degli studi di Palermo, ambito in cui è stato messo a punto il Tocilizumab, farmaco per l’artrite reumatoide, in corso di sperimentazione anche in Sicilia nella cura del Coronavirus.
L’obiettivo non è stato quello, già sperimentato in altri studi, di diagnosticare la malattia nelle opere d’arte, ma di recuperare aspetti sfuggenti della dimensione in cui avviene la creazione artistica, lanciando anche un messaggio alle giovani generazioni ossessionate dall’imposizione di modelli di bellezza irraggiungibili: come dimostrano anche i capolavori del Rinascimento, la forza del Bello risiede pure nei difetti, nelle imperfezioni, riassorbite in una dimensione di superiore armonia.
Insieme al dott. Raffa, la studiosa è andata alla ricerca della malattia anche quando non è l’oggetto dichiarato di un dipinto, scovandola anche nella perfezione dell’arte rinascimentale. Quando in un’opera la patologia non è esibita è come se la sofferenza che l’accompagna si fosse decantata. Dove cessa il dolore resta l’imperfezione, assorbita in una dimensione di armonia prevalente: parafrasando Salvatore Settis, “la forza del Bello” risiede anche nella sua imperfezione. Un messaggio che dall’arte sembra passare alla moda, responsabile di aver imposto per generazioni un’irraggiungibile immagine di perfezione: “imperfezioni” si chiama proprio la collezione autunno-inverno 2020/21 di Morfosis in passerella alla kermesse Altaroma.
Non solo il noto strabismo. “Nella Venere – osserva Raffa – è possibile riscontrare una eccessiva accentuazione dell’altezza dell’arcata plantare del piede sinistro ed una ‘gobba’ dorsale; si tratta di un ‘piede cavo’, che consiste in una malformazione congenita (sviluppo imperfetto delle articolazioni del piede) o acquisita dall’utilizzo di calzature corte (il piede non ha lo spazio a sufficienza per distendersi e tende a flettersi); altre cause secondarie riconoscono alla base patologie neurologiche e reumatologiche”. E aggiunge, “maggiormente noto è il secondo dito del piede più lungo rispetto agli altri che rispecchierebbe canoni estetici dell’epoca che si rifanno all’arte greca; potremmo tuttavia definirlo un ‘piede antropologico’, che ricorda molto il piede ‘prensile’ dello scimpanzé, poiché la stessa caratteristica si riscontra nel primati”. Chi l’avrebbe mai detto?! La dea che si erge sopra la valva di una conchiglia, pura e perfetta come una perla, ha il piede di un primate.
Non è sempre immediatamente possibile spiegare la comparsa della spia di una patologia o un trauma, come “la mano con l’ultima falange del quinto dito fratturata” nel cadavere di un domenicano nel “Trionfo della Morte” (metà del XV sec.), a Palazzo Abatellis a Palermo. Nello sportello di trittico di Ignoto fiammingheggiante (XVI sec.), con S. Martino dona il mantello al povero, al Museo regionale di Messina, quest’ultimo appare “affetto da nanismo armonico”. Un vero e proprio rompicapo: nella tradizione iconografica non è dato riscontrare altre versioni in cui il mendicante è un nano.
Ignoto, Trionfo della Morte
“Un lieve strabismo convergente dell’occhio sinistro: un difetto di convergenza degli assi visivi dei due bulbi oculari che impedisce di orientare lo sguardo di ciascun occhio sullo stesso obiettivo”, Raffa lo individua pure in quella che forse è l’opera più identificativa del patrimonio regionale siciliano: l’Annunciata (1476 circa) di Antonello da Messina, all’Abatellis di Palermo. Un “difetto”, in questo caso, funzionale alla costruzione dell’immagine. La Madonna non ha bisogno, infatti, di “orientare lo sguardo” “sullo stesso obiettivo”, perché non cerca “qualcuno” davanti a sé: il soffio che solleva le pagine del libro sul leggio, segno della presenza dello Spirito Santo, non può vederlo, ma solo sentirlo. Questo sguardo lievemente strabico, perso, è uno sguardo introspettivo, concorre ad allontanare in un altrove sovraumano la Vergine, in una dimensione di consapevolezza e accettazione. Ancora Antonello.
Antonello da Messina, Annunciata.
Nel Polittico di San Gregorio (1473), al Museo Regionale di Messina, si nota “una probabile malformazione congenita del pollice della mano sinistra”, quella che porge le ciliegie al Bambino. “Una mano con clinodattilia, malformazione congenita di un dito o falange” è quella della Madonna nella Circoncisione (1510) di Girolamo Alibrandi, a Messina.
Antonello da Messina, Polittico di San Gregorio
In Michelangelo il medico nota una patologia finora non registrata: “il ginocchio destro con deformazioni tipiche dell’artrosi” nel ritratto nelle sembianze di Eraclito che gli fece Raffaello nella Scuola di Atene (1509-1511). E precisa e sviluppa quanto asserito in uno studio del 2016 sul “Journal of the Royal Society of Medecine”, che, considerando alcuni ritratti del Maestro, concludeva che le articolazioni della mano sinistra erano affette da artrosi. Raffa registra, invece, “una forma un po’ più aggressiva”: “una osteoartrite primaria, causa di maggiore danno articolare e di limitazione funzionale”: la tesi che il lavoro continuo e intenso avrebbe aiutato Michelangelo a mantenere l’uso delle mani in età avanzata non trova fondamento scientifico. Più plausibile che l’enorme forza di volontà, la tempra del Genio, che fino all’ultimo lavorò al suo testamento scolpito nel marmo, la Pietà Rondanini, abbia agito in qualche misura da anestetizzante del più lancinante dei dolori. Una prova del valore terapeutico dell’esercizio artistico.
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