È stato condannato due volte per la dose killer di chemioterapia che è stata fatale a Valeria Lembo, quattro anni e mezzo per falso ideologico ed omicidio colposo. Ma l’ex primario del reparto di oncologia del Policlinico Sergio Palmieri non andrà in carcere. Lo ha stabilito la Cassazione che ha rigettato il ricordo del procuratore generale della Corte d’appello. Palmeri, infatti, va in prova ai servizi sociali dove sconterà la sua pena.

Accolta la tesi del tribunale di Sorveglianza

Come riporta il Giornale di Sicilia passa la linea del tribunale di Sorveglianza che aveva accolto l’istanza di Palmeri che era stata a sua volta impugnata per l’appunto dal procuratore generale. La suprema corte ha scritto la parola fine tenendo conto di due principi: la “discrezionalità del giudice” del tribunale di Sorveglianza sull’idoneità della risocializzazione di un condannato e la “congruità delle motivazioni”.

L’ex primario redasse la cartella clinica di Valeria Lembo

La responsabilità dell’ex primario fu quella di aver redatto la cartella clinica e di non aver preso atto del sovradosaggio 10 volte superiore del farmaco anti-tumorale. Era il 2011 quando Valeria Lembo, mamma di 34 anni di un bimbo di sette mesi, si sottopose a quel trattamento risultato fatale.

Secondo le indagini le fu somministrato un farmaco chemioterapico in dose eccessiva sulla base di quanto previsto dai protocolli. Anche la Procura regionale della Corte dei conti ha contestato ai medici il danno erariale. L’ospedale Policlinico è stato condannato a risarcire i familiari con quasi due milioni di euro.

L’ex primario ai servizi sociali

Palmeri va quindi ai servizi sociali perché, secondo la Cassazione, il tribunale non ha violato i principi legati alle autorizzazioni in materia di pena alternativa alla detenzione: “Ha reso una motivazione in tutta evidenza congrua – si legge nelle motivazioni –. Ha valorizzato, con argomentazioni logiche e fedeli alle risultanze procedimentali, la gravità del reato commesso, ma ha altresì ritenuto che il condannato avesse avviato un proficuo percorso di revisione critica, si fosse adoperato per porre sia pure parziale riparo al danno sociale inferto, e avesse quindi dimostrato quell’evoluzione favorevole di personalità tale da permettere l’accesso all’invocata misura alternativa”. Il tribunale ha, in definitiva, considerato sufficienti per la rieducazione del condannato le prescrizioni della misura alternativa.

La tesi dell’accusa

Il procuratore generale della Corte di Appello aveva invece sostenuto che il dirigente medico aveva ammesso le sue colpe non con cognizione di causa ma solo apparentemente e in modo “strumentale, al fine di ottenere i benefici penitenziari. Per tutto il corso del processo non avrebbe viceversa dato segno alcuno di pentimento”. Inoltre aveva evidenziato che nonostante la capacità economica di Palmeri e della sua famiglia, solo parzialmente aveva provveduto al “risarcimento del danno in misura largamente insufficiente”. Sempre la Procura generale nel ricorso sostenne che l’allontanamento dalla professione sarebbe derivato solo dal clamore mediatico, conseguente al fatto per cui era stato condannato.

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