La settimana della passione. In tutti i sensi. Per pura combinazione, i giorni più importanti della Cristianità coincidono con le tribolazioni che si vivono nei palazzi della politica siciliana dove è stata certificata l’assenza di una maggioranza.

Il governo Musumeci cade sul Defr e per la seconda volta in pochi giorni, il presidente della Regione – parlando dal suo scranno di Sala d’Ercole – avverte l’aula: “Se pensate che mi voglia consegnare ostaggio di qualcuno, scordatevelo. Se serve un confronto facciamolo qui in aula alla luce del sole, ma se qualcuno pensa che io prima di entrare in aula debba passare dal capo-corrente di turno per avere il suo voto, scordatevelo. Non avrei alcuna difficoltà a restituire la parola ai siciliani. Non intendo perdere la mia dignità”.

Il ragionamento di Musumeci attraversa tutti i banchi e ogni area di Palazzo dei Normanni, dai componenti di una (ex) maggioranza litigiosa fino alle opposizioni a cui aveva prospettato il percorso del dialogo. Ma il nodo cruciale – quasi una pasqua nell’accezione ebraica – è quel passaggio sulla dignità che, per chi conosce la storia dell’attuale governatore, fa rima con coerenza. Nel suo lungo viaggio politico, Nello Musumeci infatti non ha mai sconfinato dal proprio tracciato: è certamente una virtù che tuttavia per le geometrie (spesso variabili) di Palazzo dei Normanni potrebbe diventare una debolezza anche per la mancanza del cosiddetto ‘uomo d’aula’, quel parlamentare capace di tessere rapporti, tanto indissolubili quanto invisibili, in grado di far attraversare alla nave del governo le tempeste più perigliose. Lo trovarono, ad esempio, Raffaele Lombardo e lo stesso Rosario Crocetta nel defunto Lino Leanza.

Ma Musumeci potrebbe fare sul serio, il suo tono coincide con le parole che pronuncia, lui è ben diverso dai suoi predecessori. E i parlamentari sembrano saperlo bene, sembrano presi da un vago sconforto in preda ad una domanda che non osano fare a se stessi: “e se Musumeci si dimettesse sul serio? Andiamo tutti a casa?”.
Il contraltare alle parole di Musumeci è stato peraltro  il silenzio dei leader locali del centrodestra che si preparano al rito della passione con le incertezze emerse durante le ultime giornate e con le orecchie spalancate per carpire qualche segnale romano legato alla formazione del governo che potrebbe offrire scenari finora impercorribili in terra di Sicilia.

In questo senso, c’è chi attribuisce alla tattica politica nazionale ed alle ambizioni politiche del  movimento del Presidente della Regione la mossa di questi ultimi giorni, anche per sostenere l’azione di Giorgia Meloni nelle trattative per un governo nazionale e ricordare agli alleati di centrodestra chi tiene la tolda di comando di una regione che vale ben più di un ministero di peso, a maggior ragione in un governo dalle ampie intese. Può d’arsi ma la maggioranza in Sicilia non c’è comunque. E questo è un fatto che meritava la reazione del Presidente eletto.

All’orizzonte, poi, ci sono le amministrative in diverse città dell’Isola (fra cui quella del presidente della Regione, Catania) ed il vento d’autunno che per il centrodestra spirava favorevolmente si è bruscamente sopito con il voto di marzo che ha mandato in orbita il M5S. Un vento che il prossimo 10 giugno rischia di non soffiare più soprattutto nemmeno per i candidati del Pd ancora stordito dalla batosta alle Politiche di alcune settimane fa e senza una vera leadership tanto in Sicilia quanto a livello nazionale.

Insomma uno scenario che potrebbe premiare i Cinque Stelle, che comunque – in caso di elezioni anticipate in Sicilia – rischiano di fare i conti con gli effetti della maggioranza da laboratorio in fase di studio a Roma.

A Palazzo dei Normanni, in definitiva, sono giorni di passione e tali rimarranno solo per i siciliani se la pasqua della politica locale non porterà davvero ad una resurrezione.

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