I Finanzieri del Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Palermo hanno proceduto al sequestro di 59 confezioni di marjiuana e 15 di hashish, per un totale di 121 gr. di sostanza stupefacente esposte in libera vendita in un esercizio pubblico destinato a tale commercio ubicato nel quartiere del “Capo” del capoluogo siciliano.

Il commerciante, F.F., 26 anni, privato della merce illegale è stato segnalato, in stato di libertà, per l’art. 73 del Dpr. 309/90 (detenzione illegale di sostanza stupefacente). L’attività è stata posta in essere, in particolare, da una pattuglia della Sezione GOA, unità specializzata del Corpo per il contrasto al traffico degli stupefacenti.

Tale settore, proprio con riferimento all’attività posta in essere, è stato interessato di recente dalla L.242/2016 che ha qualificato lecita l’attività di coltivazione della canapa sativa L, anzi lo stesso provvedimento normativo titola Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa, recependo fonti normative dell’Unione Europea.

A chiarire l’apparente conflitto tra la citata legge e il D.P.R. 309/90 (Testo Unico sugli stupefacenti) ha provveduto ultimamente la Corte Suprema di Cassazione che a Sezioni Unite, con sentenza n. 30475, depositata il 10 luglio 2019, ha affermato il seguente principio di diritto: “la commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicabilità della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati, sicché la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, legge n. 242 del 2016, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività”.

L’intervento della Guardia di Finanza rientra nelle azioni dirette alla tutela della Salute Pubblica, in armonia non solo con il recente orientamento giurisprudenziale degli Ermellini, che, coerentemente con i criteri di armonizzazione comunitaria, hanno ritenuto che la norma del 2016 sia volta ad incentivare la coltivazione delle piante di “Canapa Sativa”, ritenuta di per se un arbusto particolarmente utile all’ecosistema, però non anche il consumo dei suoi frutti, ma anche con un meno noto Parere del Consiglio Superiore di Sanità del 10.04.2018, massimo Organo di tutela del Ministero della Salute, che, già a suo tempo si era pronunciato sui rischi derivanti dal consumo della “cannabis light” e dell’illiceità del suo commercio.

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