“Nostro fratello Umberto è stata una vittima certificata del cosiddetto protocollo Farfalla, cioè quell’accordo segreto tra il Dap e i servizi per gestire le informazioni dei penitenziari di massima sicurezza. Umberto è stato testimone di ingressi, al carcere di Parma, di apparati dello Stato e di colloqui abusivi, illeciti e non registrati intercorsi tra i servizi segreti e boss della ‘Ndrangheta come Domenico e Antonio Papalia. In molte circostanze i boss ottenevano anche dei benefici non giustificati come permessi premio. Umberto aveva assistito a queste cose minacciando di raccontarli, questo lo ha esposto e per questo è stato ucciso, nell’aprile 1990. Con il suo delitto, per la prima volta, è comparsa la sigla della Falange Armata rivendicata attraverso una telefonata alla redazione ANSA di Bologna”. Lo dicono in via D’Amelio, a Palermo, Nunzia e Stefano Mormile, fratelli di Umberto, l’educatore penitenziario assassinato l’11 aprile 1990 mentre andava al carcere milanese di Opera, dove era stato trasferito.
La loro testimonianza insieme a quella di altri familiari di vittime di mafia, animerà i dibattiti previsti nel pomeriggio in
via D’Amelio, nel 25/mo anniversario della strage. “Ci sentiamo in parte accomunati dallo stesso destino della famiglia Borsellino e dalla loro richiesta di verità – continuano – per questo la nostra speranza è rivolta alle motivazioni della sentenza di Caltanissetta, le attendiamo con la stessa trepidazione della famiglia. Il falso pentito Scarantino è stato indotto alla menzogna da altri, molti dei quali rappresentano lo Stato, ci aspettiamo che questo finalmente apra uno squarcio sui fiancheggiatori, magari un nuovo processo. Ci aspettiamo che finalmente avvenga quello che non è avvenuto con nostro fratello Umberto, una vicenda sulla quale è calato invece il segreto di Stato”.
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