Si è svolto, davanti al giudice per le indagini preliminari Filippo Serio, l’interrogatorio di garanzia di Onofrio (Tony) Lipari, arrestato due giorni fa con l’accusa di essere il killer che uccise, nel marzo 2014, Giuseppe Di Giacomo.

Lipari ha respinto le accuse

Lipari ha respinto con forza le accuse, dicendo di non essere stato lui a premere il grilletto: “Io ho ucciso Giuseppe Di Giacomo? Non avevo alcun motivo per farlo, ho trascorso più tempo con lui che con mio padre”.

I presenti all’interrogatorio

All’interrogatorio di garanzia erano presenti il pubblico ministero Gaspare Spedale e gli avvocati Angelo Formuso e Michele Giovinco.
Lipari ha parlato anche dei dieci anni trascorsi in carcere, in quanto accusato di essere stato un fedelissimo di Giuseppe Di Giacomo, che era arrivato ai vertici del mandamento mafioso.

Il delitto in via l’Emiro davanti al figlio di Di Giacomo

Il delitto si consumò in via Eugenio l’Emiro. Lipari ha precisato che avrebbe avuto tante altre occasioni, se avesse voluto, per uccidere Di Giacomo invece di “fare il far west in via Eugenio l’Emiro dove mi conoscono tutti e soprattutto davanti al bambino”.
Il bambino al quale Lipari si riferisce è il figlio di Di Giacomo, che era con il padre il giorno in cui venne ucciso.
Come detto, a Palermo, il mondo legato alla mafia è stato scosso dalla notizia dell’arresto di Onofrio Lipari, 32 anni, ritenuto responsabile materiale dell’uccisione di Giuseppe Di Giacomo, il nuovo reggente del mandamento di Zisa-Porta Nuova. L’agguato avvenne il 12 marzo 2014, sotto gli occhi del figlio di 8 anni della vittima.

Le indagini della DDA

Le indagini condotte dalla Direzione distrettuale antimafia, coordinata dal procuratore Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, e dai carabinieri del Nucleo investigativo, guidati dal tenente colonnello Salvatore Di Gesare, hanno portato all’arresto di Lipari. Le parole di Giovanni Di Giacomo, fratello della vittima, erano state intercettate dai carabinieri che indagavano sulla cosca anche dopo il suo arresto. Queste parole, insieme a un telegramma in codice inviato dal fratello Marcello al detenuto, hanno fatto capire ai carabinieri che in città era tutto pronto per una nuova guerra di mafia.

Una cordata che ambiva al vertice

Secondo gli investigatori, dietro l’uccisione di Di Giacomo c’era la mano della cordata che ambiva al suo ruolo di reggente del mandamento di Zisa-Porta Nuova. Tommaso Lo Presti, detto il Gabibbo o il Pacchione, avrebbe deciso la morte di Di Giacomo, ma il gip Filippo Serio non ha dato seguito alla richiesta di emissione di un ordine di custodia cautelare nei suoi confronti.

Un delitto maturato dentro gli ambienti di Cosa nostra

L’operazione costituisce l’esito di una lunga indagine sul mandamento mafioso palermitano di Porta Nuova, che avrebbe consentito di arrestare Lipari ritenuto il killer dell’omicidio di Giuseppe Di Giacomo.
Grazie all’importante dispositivo di contrasto a cosa nostra di cui si è dotato il Comando Provinciale Carabinieri di Palermo, nonché al ricorso sistematico alle più sofisticate tecnologie di captazione, è stato possibile acquisire precise e concordanti risultanze in merito alle responsabilità penali dell’odierno arrestato in merito alla commissione del fatto di sangue. Un delitto avvenuto quasi nove anni fa che adesso trova una spiegazione e l’individuazione di un presunto responsabile.

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