Sentenza che fa giurisprudenza della Cassazione in tema di reddito di cittadinanza e informazioni inesatte nella domanda. La carta va sequestrata nonostante il possesso dei requisiti. Un caso palermitano adesso rischia di far perdere il diritto al reddito di cittadinanza a tanti beneficiari che nella domanda per l’ottenimento hanno inserito dati errati.

A Palermo la Cassazione ha confermato il sequestro preventivo a carico di un disoccupato che aveva inserito dati non corrispondenti al vero. E’ la sentenza n. 5290 del 10 febbraio 2020 della Corte di Cassazione costituisce il primo precedente assoluto in materia, la carta di reddito di cittadinanza può essere sequestrata anche per informazioni inesatte o parzialmente inesatte, nonostante il possesso dei requisiti. A Darne notizia è Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”.

La Suprema Corte ha confermato la misura preventiva a carico di un presunto finto disoccupato. I giudici hanno rigettato l’impugnazione della decisione del Tribunale di Palermo che a sua volta aveva rigettato la richiesta di riesame di un decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP dello stesso Tribunale, sostenendo che “il sequestro preventivo della carta reddito di cittadinanza, nel caso di false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, da parte del richiedente, può essere disposto anche indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio”.

In sostanza, si punisce il cittadino che viene meno al dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico e il reddito di cittadinanza, il cui funzionamento presuppone necessariamente una leale cooperazione fra cittadino e amministrazione, è un provvedimento ispirato alla massima trasparenza. Per Giovanni D’Agata, presidente dello “ Sportello dei Diritti”, la decisione in questione conferma che anche se il momento per migliaia di cittadini è a dir poco delicato è sempre imprescindibile non dichiarare il falso sperando in un beneficio effimero. Perché può costare una condanna penale e la restituzione di quanto indebitamente percepito.

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