Già è forte il dolore per la scomparsa di un caro, figuriamoci quanto lo possa essere ancora di più sapere di avere pianto sulla bara sbagliata e di stare seppellendo un’altra persona. È successo all’ospedale Civico di Palermo.

La Procura, infatti, sta indagando su uno scambio di salme avvenuto nel nosocomio del capoluogo siciliano, provato dai tanti decessi delle ultime settimane per il Covid-19. È accaduto che un’agenzia funebre, contattata dai familiari di una delle vittime (un 68enne spirato a causa del virus il 23 novembre scorso), con il compito di portare la salma al cimitero di Messina, si è accorta di avere preso il defunto sbagliato (che, invece, si trovava ancora all’obitorio, poi riconosciuto dalla figlia).

All’inizio si è pensato a uno scambio con un altro deceduto che, nel frattempo, era già stato tumulato a Roccamena, nel Palermitano. I carabinieri, però, hanno accertato che le due morti non sarebbero avvenute in tempi ravvicinati, per cui l’errore ha riguardato un’altra salma.

La tesi dei magistrati è che ci sia stato un errore nell’apposizione delle targhette con i nomi dei defunti ed è molto probabile che sarà disposta la riesumazione dei cadaveri tumulati per sbaglio. I militari, inoltre, stanno già sentendo i parenti dei deceduti.

Del caso, come appreso da AskaNews, si sta occupando il procuratore aggiunto Ennio Petrigni che ha disposto il sequestro dei deceduti per Covid tra il 22 e il 23 novembre. E ci sarebbe un ‘giallo’: i registrati risultano 10 ma all’appello ne manca uno.

UN CASO ISOLATO?

Quanto accaduto potrebbe non essere stato un caso isolato. Ne è prova il sospetto raccontato da due familiari di una vittima del Covid-19, incontrati da Massimo Minutella al cimitero dei Rotoli durante un servizio sull’emergenza bare nei depositi.

Un parente ha, infatti, raccontato: «Uno zio, sceso dal Belgio, aveva la broncopolmonite ed è morto all’ospedale Cervello. Ci hanno detto che è morto di Covid. Hanno chiuso la bara ma non sappiamo se è lui o non è lui. Lo hanno messo nella ‘cassa’, con il loro sacco, e non abbiamo potuto provvedere al riconoscimento. Abbiamo chiesto gli effetti personali e ci hanno dato solo un paio di ciabatte, un giubbotto, le chiavi e un paio di scarpe. Con sé, però, aveva un grande borsone. Non ci hanno restituito neanche il cellulare».

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