Sono passati sessant’anni dall’estate del ’59, quando “Il gattopardo” si aggiudicò il più prestigioso premio letterario italiano, lo Strega.
La sera del 7 luglio, nel salotto letterario degli ‹‹Amici della domenica›› di Maria Bellonci, il capolavoro di Tomasi di Lampedusa, presentato da Ignazio Silone e da Geno Pampaloni, ottenne 135 voti su 335 prevalendo su ‹‹La casa della vita›› di Mario Praz e su ‹‹Una vita violenta›› di Pier Paolo Pasolini. Fu un’affermazione sofferta, ‹‹sotto fitti tiri incrociati ››, come scrive Andrea Vitello nella pregevole biografia di Tomasi di Lampedusa: si racconta persino che Moravia, sostenitore di Pasolini, minacciò Soldati di toglierli il saluto se avesse caldeggiato la causa de ‹‹Il gattopardo››.
Malgrado il crescente successo commerciale (del romanzo, a meno di un anno dalla prima edizione, erano già state stampate 70.000 copie) e gli elogi della critica più avveduta, ‹‹Il gattopardo›› continuava ad essere bersaglio di rilievi frutto di pregiudizi ideologici e la concorrenza quell’anno era agguerrita (tra i contendenti, scrittori del calibro di Beppe Fenoglio, Giovanni Testori, Achille Campanile).
Per conto della casata del principe, visse l’emozione di quella serata presenziando alla cerimonia malgrado l’età senile (86 primavere), Pietro Tomasi della Torretta, lo zio ambasciatore dello scrittore. Quel premio consacrava ufficialmente un romanzo segnato da autorevoli rifiuti editoriali, alla cui pubblicazione non potette assistere l’autore, deceduto più di un anno prima.
Dopo lo Strega, ‹‹Il gattopardo›› continuerà l’escalation del suo successo superando in poco tempo, primo tra i best seller italiani, le 100.000 copie, e il successo si moltiplicherà quando, nel ’63, Luchino Visconti ne girerà la versione cinematografica.
Nonostante le traversie editoriali, Giuseppe Tomasi di Lampedusa aveva continuato a credere nel suo capolavoro tanto da inviarne il manoscritto, poco prima di morire, all’amico Enrico Merlo di Tagliavia pregandolo ‹‹di averne cura››, ma non poteva prevedere tanta fortuna.
Una compensazione alla sfortuna che perseguitò il manoscritto.
L’accidentato cammino de ‹‹Il gattopardo›› nelle tortuose vie dell’editoria inizia nel maggio del ’56. E’ infatti datata 24 maggio 1956 la lettera che Lucio Piccolo spedisce, col manoscritto, al conte Federico Federici, un funzionario di peso della Mondadori che il poeta aveva conosciuto con la pubblicazione dei ‹‹Canti barocchi››.
Il principe si era affidato al cugino perché questi aveva esplorato il mondo letterario con la citata silloge edita da Mondadori. Ma già la prima risposta di Federici è fredda, in ciò influendo, probabilmente, l’avergli disconosciuto, nella missiva, il titolo di conte a cui Federici teneva tanto.
Il 10 ottobre dello stesso anno Piccolo, sollecitando un giudizio, invia una seconda lettera a Federici, ancora una volta chiamandolo ‹‹dottore›› e non conte, con altri due capitoli del romanzo all’inizio definito ‹‹ciclo di novelle››. Ottenendo un ulteriore riscontro meramente formale: il manoscritto va valutato da un comitato di lettori e si prevedono tempi lunghi.
L’esito della Mondadori arriverà a Lucio Piccolo il 10 dicembre, ed è il classico rifiuto editoriale. Licy Wolff, la moglie del principe, annoterà brutalmente nella sua agenda: ‹‹Rifiuto di quel porco di Mondadori››. Tomasi di Lampedusa non si perde d’animo, continua a scrivere e aggiunge al romanzo due nuovi capitoli: quello sulle vacanze di padre Pirrone e quello del ballo.
Con una lettera del 28 marzo del ’57 –un’illuminante ‹‹recensione›› del romanzo scritta, così pare, dall’erudito Ubaldo Mirabelli -, Fausto Flaccovio invia il dattiloscritto a Elio Vittorini, direttore della collana ‹‹Gettoni›› di Einaudi; inoltre, tramite l’ingegnere Giorgio Giargia, un paziente di Licy Wolff, si tenta di far pervenire il romanzo a Elena Croce, la figlia del filosofo.
La risposta di Vittorini arriverà direttamente al principe nei suoi ultimi giorni di vita: è lunga e articolata, per nulla benevola. Il romanzo contrasta con i canoni di una letteratura ‹‹nuova›› di stampo neorealista di cui l’autore di‹‹Conversazione in Sicilia›› è promotore.
Curiosità su curiosità, Vittorini aveva già visionato il dattiloscritto per conto della Mondadori, presso cui era consulente, e il suo giudizio era stato diverso: il testo, non privo d’interesse, richiedeva una revisione da proporre all’autore.
Sebbene lento (il romanzo giacerà misteriosamente per mesi nella sede del Partito Repubblicano), il percorso Giargia-Elena Croce si rivela conducente. La Croce fa avere il dattiloscritto a Bassani che, entusiasta, recupera gli altri due capitoli e ‹‹Il gattopardo›› è pubblicato da Feltrinelli nel novembre del ’58, quando il principe è già passato a miglior vita.
Tra i premi Strega, “Il gattopardo” è il romanzo più celebre e di più elevato rilievo estetico, ma anche quello dal parto più travagliato.
Commenta con Facebook