“Deserto probatorio”, dichiarazioni di collaboratori di giustizia contraddittorie, “assurdità inserite nella narrazione per tamponare falle”, offesa al diritto penale moderno, provvedimenti giudiziari rispettati solo se convengono: non risparmia critiche alla sentenza della corte d’assise, che condannò a pene pesantissime gli imputati del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, l’avvocato Tullio Padovani, legale dell’ex senatore Marcello Dell’Utri insieme a Francesco Centonze, che oggi ha concluso l’arringa difensiva al dibattimento di secondo grado in corso a Palermo.

L’arringa sulla condanna a 12 del suo assistito

Un’arringa appassionata dedicata a smontare gli assunti del primo verdetto che ha condannato Dell’Utri a 12 anni di carcere per minaccia a Corpo politico dello Stato. Il legale elenca le contraddizioni insanabili tra i pentiti Brusca e Cucuzza nel racconto dei presunti incontri tra Dell’Utri e Vittorio Mangano, mafioso per anni stalliere nella villa di Silvio Berlusconi: “Cucuzza non collima con Brusca. Brusca parla di un solo incontro a marzo 1994 prima del governo Berlusconi e parla di minaccia stragista riferita al governo, ma se il governo ancora non c’era?”, dice Padovani. Mentre Cucuzza riferisce di due incontri tra lo stalliere di Arcore e l’ex senatore Azzurro: “Come è che Brusca non ne sa nulla? – aggiunge il legale – Brusca parla di minaccia esplicita, Cucuzza parla di un lobbista in azione”.

Minaccia stragista? Non esiste

La verità per l’avvocato è “che la prova degli incontri in cui Mangano avrebbe riferito la minaccia stragista di Cosa nostra a Dell’Utri per indurre a miti consigli Berlusconi (e farlo trattare ndr) non esiste”. “Non c’è uno straccio di prova che gli incontri siano avvenuti”, dice. E ancora, per l’avvocato è la stessa corte d’assise a “declassare” la minaccia indicata nel capo di imputazione a semplice pressione. “Se non percepisco la minaccia, come posso essere condizionato?”, si chiede Padovani. “La Corte lega la minaccia allo spessore criminale di Mangano, una sorta di minaccia incorporata”, ironizza.

Il 17 settembre le repliche della Procura generale

Per il difensore le falle della motivazione non si esaurirebbero qui: la corte arriva a dire che non c’è dubbio che Dell’Utri abbia riferito all’ex premier i suoi rapporti e i suoi incontri con Mangano. “Non parliamo più cioè di Dell’Utri che riferisce cose specifiche, ma di uno che ha relazioni con Cosa nostra. Torniamo cioè all’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa da cui, per i fatti successivi al ’92, però Dell’Utri è stato assolto”, spiega. “E’ un modo disinvolto di trattare le sentenze che si assumono solo se ci conviene”, aggiunge. Dopo l’arringa di Padovani ha preso la parola il legale del boss Leoluca Bagarella che ha chiuso le arringhe difensive. Il processo è stato rinviato al 17 settembre per le repliche della Procura generale. Il 20 settembre, data la parola ai legali per eventuali repliche, la corte d’assise d’appello si ritirerà in camera di consiglio.

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