Matteo Messina Denaro avrebbe avuto un interesse diretto “negli ingenti affari finanziari realizzati in Lombardia dal sistema mafioso lombardo”. Lo scrive il pm della Dda di Milano Alessandra Cerreti nel ricorso al Tribunale del Riesame, presentato dopo che il gip Tommaso Perna ha bocciato 142 delle 153 misure cautelari richieste dalla Procura, non riconoscendo per mancanza di prove l’esistenza della ipotizzata alleanza tra le tre mafie, Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra.

I passaggi delle 1100 pagine dell’Appello

In molti passaggi delle oltre 1100 pagine dell’atto di appello, con cui il pm chiede di accogliere 79 misure in carcere
rigettate dal giudice, ci sono moltissimi riferimenti alla figura dell’ormai ex capo di Cosa Nostra ed ex superlatitante, morto il 25 settembre. Per la Dda la “cointeressenza” di Messina Denaro negli affari della “confederazione” di mafie, basata tra
Milano e Varese, è data dal fatto che “esponenti mafiosi della Provincia di Trapani” e del “mandamento di Castelvetrano” ne
“rappresentano una componente”. Tra questi Paolo Aurelio Errante Parrino, cugino del boss. Anche per lui, però, il gip ha negato l’arresto per associazione mafiosa.

Gli inquirenti riportano intercettazioni “con reiterati riferimenti” a Messina Denaro che, per i pm, sarebbe stato colui
a cui “inviare o dal quale ricevere ‘ambasciate'”, anche per la risoluzione di conflitti. In un’intercettazione ambientale del
febbraio 2021, tra l’altro, Filippo Crea, per i pm parte dell’alleanza tra mafie, parlando con altri diceva: “Oggi gli ho cambiato un milione e due a questa persona (…) che è entrato nel consorzio a luglio (…) ha 20 milioni interrati (…) il suo socio … è quello là il super latitante”.

Sempre la Dda ricostruisce una serie di “summit in Sicilia” che dimostrerebbero “i collegamenti tra il sistema mafioso
lombardo e l’ex latitante”. Incontri anche con un “uomo di fiducia” del boss, tanto che, sempre per la Dda, Gioacchino
Amico, tra gli 11 arrestati ieri ma non per associazione mafiosa (per traffico di droga e estorsioni), si sarebbe preoccupato “nello stilare la lista degli invitati al proprio matrimonio” che fosse presente proprio questo “uomo di fiducia”.

La Dda: “Il gip ha banalizzato tutto”

“Gli innumerevoli elementi investigativi – incredibilmente parcellizzati e banalizzati dal Giudicante – provano che” il gruppo criminale al centro dell’indagine della Dda milanese “esercita sul territorio tutte le condotte tipiche delle associazioni mafiose”. lo scrive il pm Alessandra Cerreti nell’appello contro l’ordinanza con cui il gip Tommaso Perna ha ricettato 142 richieste di misura cautelare avanzate nell’ambito dell’inchiesta Hydra, condotta dai carabinieri di Milano e Varese.

Nell’atto, il pubblico ministero che, “in riforma della ordinanza depositata” lo scorso 26 settembre ed eseguita ieri
con gli arresti di 11 persone, ha rinnovato l’istanza del carcere rigettata per 79 indagati. In 1121 pagine, costruite con
parecchi richiami e spezzoni della originaria richiesta di misura, il sostituto procuratore Cerreti ha tenuto a precisare,
a differenza di quanto scritto dal giudice, di non aver “mai sostenuto trattarsi di una super associazione mafiosa (…) composta dalle 3 mafie italiane che si sarebbero consorziate sul territorio (addirittura nazionale)” o “mondiale”. “Né mai il pm – aggiunge – ha parlato di ‘egemonia’ sul territorio lombardo, come ha erroneamente ritenuto il Giudicante, che ne ha escluso l’esistenza anche argomentando sulla mancata opposizione da parte di altre associazioni mafiose radicate sul territori”.

La mafia che opera nel territorio milanese

“Il capo di imputazione sul punto appare, invece, estremamente chiaro – prosegue -. Trattasi di mere ‘componenti’ delle tre tradizionali associazioni mafiose, operative sul territorio milanese” e non altrove “che si alleano strutturalmente tra loro per aumentare le possibilità di profitto” ed “evitare i conflitti”. In sostanza, precisa il pubblico ministero, “le singole componenti mafiose mantengono la loro autonomia ed indipendenza criminale ma si ‘consorziano, dotandosi di una struttura
unitaria, (solo) sul territorio della città di Milano. Cosa che non incide, ovviamente, sulla appartenenza mafiosa originaria dimostrata da una intercettazione da cui emerge “che le singole componenti si siano fatte “autorizzare” dalla casa madre”.

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