L’ex premier Silvio Berlusconi, citato come teste assistito davanti alla Corte d’Assise d’Appello che celebra il processo di secondo grado sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, si è avvalso della facoltà di non rispondere. L’ex presidente del Consiglio ha negato anche il permesso di farsi riprendere e fotografare in aula.
Berlusconi era arrivato intorno alle 10 all’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo dove avrebbe dovuto deporre.
Citato dai legali dell’imputato Marcello Dell’Utri, Berlusconi è testimone assistito, status che gli garantisce la facoltà di non rispondere, perché indagato a Firenze per le stragi mafiose del 1993.
Secondo quanto stabilito dalla corte nell’ordinanza che ne ha disposto la citazione, avrebbe dovuto riferire su “quanto sa a proposito delle minacce mafiose subite dal governo da lui presieduto nel 1994 mentre era premier”.
La richiesta di citare a deporre l’ex premier era stata fatta dall’avvocato Francesco Centonze, legale di dell’Utri, ex senatore di Fi condannato in primo grado a 12 anni per minaccia a Corpo politico dello Stato, nell’atto di impugnazione della sentenza.
Berlusconi che le motivazioni del primo verdetto dipingono come vittima della minaccia stragista rivolta da Cosa nostra allo Stato, per il tramite di Dell’Utri, non è mai stato sentito in aula, né in fase d’indagine.
Una circostanza che, secondo il legale, andrebbe sanata essendo l’esame di Berlusconi “una logica conseguenza dalla qualifica di persona offesa attribuita al medesimo nella sentenza impugnata in quanto destinatario finale della pressione o dei tentativi di pressione di Cosa nostra”.
La difesa di Marcello Dell’Utri aveva chiesto di proiettare in aula, prima della deposizione di Berlusconi – che ricordiamo non c’è stata – una video intervista dell’ex Presidente del Consiglio in cui, dopo il verdetto di primo grado, dichiarava che il suo Governo non aveva mai ricevuto minacce mafiose.
La Procura generale si è opposta alla richiesta: “Questa è un’aula di giustizia, non uno studio televisivo” ha detto il pg Giuseppe Fici. La corte si è ritirata in camera di consiglio per decidere.
“L’intervista è già acquisita agli atti – hanno detto i giudici – quindi potrà essere visionata dalla corte in ogni momento e non c’è motivo di proiettarla in aula”. La corte ha disposto la trascrizione del contenuto dell’intervista per facilitarne la consultazione delle parti.
“Su indicazione dei miei legali, mi avvalgo della facoltà di non rispondere”, ha detto l’ex premier alla corte. Appena entrato in aula i giudici gli avevano illustrato le prerogative garantitegli dallo status di teste assistito, status determinato dal fatto che a suo carico pende una inchiesta a Firenze sulle stragi del ’93, quindi su fatti “probatoriamente collegati” a quelli oggetto del processo “trattativa”. La corte, dunque, ha preliminarmente avvertito l’ex premier della possibilità di non rispondere precisando, inoltre, che qualora avesse risposto avrebbe assunto “l’ufficio di testimone”, quindi avrebbe dovuto dire la verità. In aula c’erano anche i legali dell’ex premier, gli avvocati Franco Coppi e Nicolò Ghedini.
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