Il reato è prescritto e l’inchiesta va archiviata: con questa motivazione la Procura di Palermo ha chiesto l’archiviazione per intervenuta prescrizione dell’inchiesta a carico del boss Giuseppe Graviano, accusato di avere avuto un ruolo di primo piano nella cosiddetta trattativa Stato-mafia.

I pm palermitani, dopo le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza e alla luce delle intercettazioni in carcere a cui il capomafia è stato sottoposto nel 2017, lo iscrissero nel registro degli indagati per minaccia a Corpo politico dello Stato in un procedimento parallelo a quello in corso a carico di ex ufficiali del Ros, politici e mafiosi, conclusosi ad aprile del 2018.

Per gli inquirenti il padrino di Brancaccio, dal 1994 al carcere duro, avrebbe “contribuito, con condotte certamente rilevanti, alla elaborazione ed alla successiva esecuzione del piano di intimidazione violenta ai danni delle istituzioni dello Stato”.

Ma a fissare i paletti della prescrizione è stata la sentenza della corte d’assise di Palermo che, ad aprile di un anno fa, ha condannato a pene pesantissime i coindagati: gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, l’ex senatore di Forza Italia Marcello dell’Utri i boss Leoluca Bagarella e Antonino Cinà e Massimo Ciancimino.

Nel provvedimento i giudici stabilirono che il reato di minaccia a Corpo politico dello Stato, alla luce della legge più favorevole all’indagato, si prescrive in 20 anni, che decorrono dal primo atto interruttivo della prescrizione. I pm sostengono che il contributo di Graviano abbia avuto inizio nel 1991 e sia terminato col suo arresto, nel gennaio del 1994.

La prescrizione comincia a decorrere dal ’94 dunque e si interrompe con l’interrogatorio a cui il boss fu sottoposto il 28 marzo 2017. Venti anni sono dunque passati e, nonostante i pm siano convinti che il padrino di Brancaccio sia stato determinante nella strategia ricattatoria che avrebbe piegato lo Stato negli anni delle stragi, l’inchiesta va chiusa.

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