“Dall’ultimo report della Polizia di Stato emerge come la Sicilia sia la prima regione dove si registrano più violazioni dei divieti di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima di violenza e sia la seconda regione per reati legati al cosiddetto ‘revenge porn‘, ovvero la diffusione illecita di video e immagini sessualmente espliciti. A lungo il nostro diritto penale è stato sessista, trattando uomini e donne in maniera diversa. Il reato di stalking è stato introdotto nel 2009, mentre la legge contro la violenza femminile che introduce nuove disposizioni come il divieto di avvicinamento alla dimora della persona offesa è del 2013”. Lo ha detto Alessandra Dino, sociologa e docente dell’Università di Palermo alla terza videoconferenza del progetto educativo antimafia e antiviolenza organizzato dal Centro Studi Pio La Torre e dedicato al tema delle “Disuguaglianze di genere e pratica della violenza nella società civile e nelle organizzazioni mafiose”.

Oltre 435 le scuole collegate in videoconferenza

A parlarne, oltre alla Dino, sono state Sabrina Garofalo, docente del centro di Women’s Studies “Milly Villa” dell’Università della Calabria e Beatrice Pasciuta, prorettrice alla Inclusione Pari Opportunità e Politiche di Genere dell’Università di Palermo. A moderare l’incontro il presidente del centro, Vito Lo Monaco.

Sono state oltre 435 le scuole collegate in videoconferenza, comprese alcune carceri da Nord a Sud Italia. Numerose le domande degli studenti sulla necessità di introdurre a scuola l’educazione sentimentale, sul permanere degli stereotipi di genere, sul linguaggio e lo scarso numero dei centri antiviolenza su tutto il territorio.

Pregiudizi e linguaggio dei media

Alessandra Dino

Alessandra Dino

“Tra i Paesi europei l’Italia è terzultima per numero di omicidi femminili, la violenza di genere non è un problema privato o soltanto femminile, ma sociale, ha a che fare con le violazioni dei diritti umani, come ratificato dalla Convenzione di Istanbul”, ha aggiunto Alessandra Dino, che ha spiegato come i pregiudizi abbiano intriso oltre al racconto che i media fanno delle violenze anche il linguaggio di alcune sentenze, leggendone alcuni stralci.

“La gelosia è spesso considerata un elemento plausibile per non dare le aggravanti per ‘futili e abietti motivi’, al contrario di quando il delitto viene commesso per ragioni economiche.

C’è poi una retorica che porta alla deresponsabilizzazione dell’assassino e una rappresentazione distorta della realtà: fa più notizia l’uccisione di una donna giovane, con il 38% di articoli a fronte di un 4,8% di casi che hanno riguardato donne tra i 10 e i 16 anni, mentre quando le vittime hanno un’età che va da 40 a 59 anni queste sono sottorappresentate con il 12,8% di articoli. L’omicidio di una donna anziana non fa notizia, come quello di una straniera a opera di uno straniero, al contrario uno straniero che uccide un’italiana fa molta più notizia.

Nel 92% dei casi le donne sono uccise da una persona conosciuta. Si parla erroneamente di ‘raptus’ e di uomini con patologie psichiche ma solo nell’8% dei casi c’è una diagnosi di psicosi grave, raccontando così come episodica una violenza che in realtà è nella maggior parte dei casi sistemica e commessa da uomini normali che non hanno precedenti penali.

Per fortuna anche l’Ordine dei giornalisti si è mobilitato negli anni, prestando maggiore attenzione ai testi, purtroppo nelle immagini prevale ancora una sorta di ‘feticizzazione del cadavere’ mettendo in risalto aspetti di una femminilità quasi erotica”.

Le donne nei contesti mafiosi

“C’è questa necessità di annullare i corpi femminili nei contesti di tipo mafioso. Nella ‘Ndrangheta questa relazione tra il territorio e i corpi assume forme di controllo più forti. Qui il concetto di onore cammina di pari passo con quello di violenza, prevalendo sul principio di autodeterminazione”, ha detto Sabrina Garofalo, che ha raccontato le storie della giovane testimone di giustizia Maria Stefanelli, della collaboratrice Giusy Pesce, di Maria Concetta Cacciolla, Roberta Lanzino e Annamaria Scarfò, donne che hanno rappresentato un elemento di rottura delle logiche del clan.

Chi si ribella va punito con una pena esemplare: “Nei femminicidi di Ndrangheta è stato usato l’acido muriatico che corrode e cancella anche simbolicamente tutti gli organi legati alla voce di chi si parla – aggiunge Garofalo – i corpi delle donne sono stati usati come merce di scambio in una violenza fondativa del potere mafioso, taciuta, in una sorta di ammaestramento collettivo dove il dominio sui corpi va di pari passo con il dominio del territorio”.

Superare disparità economiche

“Occorre superare le disparità anche sul trattamento economico riservato alle donne rispetto a quello dei loro colleghi – ha aggiunto Dino – e offrire risorse economiche serie per operare trasformazioni. La maggior parte degli operatori che lavora nelle case-famiglia, ad esempio, lo fa gratuitamente”.

Per quanto riguarda le istituzioni, “L’università di Palermo quest’anno con il nuovo rettore ha voluto un prorettorato dedicato all’inclusione e alle politiche di genere, significa dotare l’università di una struttura che si occupa di tutti i temi connessi con disuguaglianze e discriminazioni – ha detto Beatrice Pasciuta, prorettrice alla Inclusione Pari Opportunità e Politiche di Genere Unipa nel corso della videoconferenza – mettere a disposizione dei ragazzi e delle ragazze le nostre competenze e le nostre ricerche sarà il nostro compito”.

É possibile rivedere la videoconferenza del progetto educativo antimafia sul sito del centro studi Pio La Torre.

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