Non hanno un’origine bizantina ma normanna la Basilica di San Giovanni, considerata la prima Cattedrale di Siracusa, e la cripta di San Marzano. Lo afferma Federico Caruso, archeologo presso il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana – Università della Sorbona che ha partecipato nei giorni scorsi ad un seminario tenutosi a Siracusa sul complesso monumentale di San Giovanni Evangelista a Siracusa.
La datazione
“Sulla datazione si sono susseguite parecchie interpretazioni, a partire dagli scavi – dice l’archeologo – che nel primo 900 hanno interessato questo luogo con Paolo Orsi fino alle interpretazioni più recenti con Santi Luigi Agnello che hanno sempre orientato la cronologia della Basilica di San Giovanni e della cripta di San Marzano all’epoca bizantina. Oggi questa datazione è messa in discussione da recenti studi che riguardano gli apparati decorativi iconografici e che mettono anche in rapporto lo studio delle fonti”.
L’origine normanna
“La cripta di San Marciano – prosegue – è uno dei monumenti della Sicilia cristiana più controversi, che da sempre ha destato particolare interesse per chi si occupa di archeologia e di storia del cristianesimo. L’attribuzione al periodo bizantino si basa su temi che riguardano l’architettura e lo sviluppo topografico del complesso di San Giovanni e quindi il rapporto con la Chiesa è centrato su un passo di un testo antico che è l’encomio di San Marciano, tradizionalmente attribuito all’ottavo secolo, ma la cui datazione è in discussione. Nel momento in cui la tradizione degli studi è andata avanti, allora è possibile immaginare che nel momento normanno, quindi durante il periodo di riconfigurazione della diocesi siracusana, si sia sviluppato ulteriormente dal punto di vista monumentale anche il culto sotto una nuova luce”.
La cripta di San Marciano
La cripta di San Marciano, secondo quanto prospettato da Fausto Migneco, docente di Beni Culturali Ecclesiali presso l’ISSR San Metodio di Siracusa presenta delle sorprese: “La cripta è un luogo straordinario caratterizzato da continue trasformazioni che nel corso dei secoli hanno nascosto alcuni elementi importanti – spiega il professor Fausto Migneco: le intemperie, l’utilizzo del materiale, il riutilizzo del materiale a volte ha cancellato delle tracce importanti. Gli ultimi restauri hanno restituito degli elementi che ci permettono oggi di identificare alcune delle figure qui presenti. Il cosiddetto affresco dei santi Pietro e Paolo dopo l’ultimo restauro ha restituito dei particolari iconografici significativi che ci permettono di identificare questi due santi e di spingere l’interpretazione di questo affresco verso le figure dei santi Simone e Giuda Taddeo, due apostoli molto venerati dalla Chiesa universale e che probabilmente hanno un legame molto speciale anche con la Chiesa siracusana”.
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