Sono arrivati a bordo di un bus numerosi migranti stranieri, che, come ogni anno, si recano a Cassibile, quartiere a sud di Siracusa, dove vi è la maggiore concentrazione di aziende agricole nel territorio del capoluogo. E la loro casa è una baraccopoli, un gruppo di costruzioni abusive a due passi dal centro abitato, nell’area dello svincolo autostradale della Siracusa-Gela. Un esodo motivato dalla produzione della patata, una specialità in questa zona della Sicilia sud-orientale, che comporta, però, tanti problemi, soprattutto per le condizioni igieniche in cui vivono gli stranieri, con una maggioranza di sudanesi.
Secondo alcune fonti investigative, in questa cittadella ci sarebbero almeno duecento persone ma la previsione è che, nei prossimi giorni, potrebbero esserci degli altri arrivi. Una situazione che, naturalmente, è tenuta sotto stretta osservazione dai vertici delle forze dell’ordine. I residenti di Cassibile sono preoccupati, a fare paura sono le condizioni igieniche della baraccopoli ed il rischio di contagio da Covid19 perché in quell’area di mascherine ce ne sono poche e le distanze di sicurezza, come indicato nel decreto del Governo nazionale, sono praticamente un sogno. Tanti gli appelli su Facebook, compreso quello di un rappresentante del quartiere, che si è rivolto al sindaco di Siracusa, al prefetto e dal presidente della Regione. “Noi amiamo il nostro paese, amiamo – scrive Paolo Romano – l’integrazione e la tolleranza ma vogliamo il rispetto delle leggi e che la baraccopoli vada immediatamente smantellata ed allo stesso tempo occorre trovare una sistemazione per queste persone fuori dal centro abitato”.
Appena un mese fa la Cisl Siracusa aveva lanciato l’allarme sia per lo sfruttamento di questi migranti, persone disperate che vivono in povertà, sia per le condizioni di sicurezza della baraccopoli. “In questo momento, però, più che dell’ignobile sfruttamento – spiegavano il segretario generale della Cisl Ragusa Siracusa, Vera Carasi, e il segretario generale della Fai Cisl Sergio Cutrale- cui vengono sottoposte queste persone, dobbiamo pensare alla loro tutela. Anche questi uomini, come ognuno di noi, possono essere portatori inconsapevoli del virus o, loro stessi, essere contagiati da chiunque altro. Chi li sfrutta, indubbiamente, non pensa di far rispettare le indicazioni dei vari decreti in termini di sicurezza nei luoghi di lavoro. L’agricoltura a pieno campo, – aggiungono Carasi e Cutrale – è, sì, meno rischiosa delle colture intensive, ma non sicuramente esente dai pericoli dovuti alla promiscuità e alla mancanza di protezioni.
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