Non di rado le biografie ci lasciano delusi. Soprattutto quelle in cui si accavallano vicende, dati, avvenimenti storici documentati con scrupolo ma che lasciano in secondo piano, quasi non contasse, la psicologia del personaggio raccontato.

Per conoscere quel personaggio, meglio allora un romanzo storico quando il colpo d’ali della fantasia concorre a coglierne la sua anima e la narrazione non deraglia dai binari del verosimile.

A parte la rigorosa e puntigliosa biografia di Andrea Vitello e qualche altro saggio, su Giuseppe Tomasi di Lampedusa si è scritto tanto, spesso con poca aderenza alla realtà e senza riuscire a penetrare dentro una figura di per sé complessa.

Il romanzo di Simona Lo Iacono “L’albatro”, edito da Neri Pozza, racconta la vita dell’autore de “Il gattopardo” e, se da un lato, rimane fedele alle fonti biografiche (al punto di citarle in un’apposita pagina), dall’altro ricorre a un espediente letterario che, per quanto ardito, risponde a un fine, raggiunto felicemente: scavare nei meandri di una personalità ricca di sfumature come quella di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Simona Lo Iacono, scrittrice e magistrato siracusana dalla crescente notorietà (ha vinto più di un premio ed è stata selezionata con “Le streghe di Lenzavacche” tra i finalisti dello Strega), si affida a un espediente singolare: immagina che Giuseppe Tomasi di Lampedusa viva la sua infanzia con accanto un amico fedelissimo, Antonno, quasi un’ombra di se stesso, una sorta di alter ego, bello e impacciato come l’albatro di Baudelaire.

Antonno parla poco e quel poco che dice, unitamente ai suoi gesti, rivelano una personalissima filosofia della vita: tutto inizia dalla fine, l’esistenza procede a ritroso. “Se sfogliava un libro cominciava dall’ultima pagina, se voleva andare avanti camminava all’indietro e contava al contrario, provando un’infinita pietà per gli zeri”.

Con “L’albatro” Simona Lo Iacono si proietta nell’esistenza e nella psicologia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa osservandola da due angoli visuali diversi: quello dell’infanzia e quello dei suoi ultimi giorni.

Sicché, nel romanzo si alternano regolarmente i capitoli ambientati a Santa Margherita del Belìce in cui il principe non è che un bambino (come pure il suo “fantasma” Antonno) e i capitoli in cui Tomasi di Lampedusa è ricoverato, preda della malattia che si rivelerà letale, presso la clinica Villa Angela di Roma.

All’interno di questi due opposti registri scorrono gli avvenimenti che segnano l’esistenza di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: i legami con i genitori – soprattutto con la madre -, con i parenti e con l’aristocrazia siciliana – specie con i Piccolo di Calanovella -, il matrimonio con Licy Wolff, pioniera della psicanalisi freudiana in Italia, la passione per la letteratura, la scrittura e le traversie editoriali de “Il gattopardo”.

Mediante un impianto narrativo particolare e una licenza audace (l’invenzione di Antonno), la Lo Iacono ricostruisce la biografia di Tomasi di Lampedusa con soddisfacente veridicità e soprattutto offre un ritratto del principe attendibile che ne svela i pur controversi segni caratteriali.

E ciò grazie anche alle sue opere nelle quali si celano la sua malinconica visione della vita e la sua concezione della società e della storia. D’altra parte sembra che la Lo Iacono, in questa non semplicissima operazione, parta da un assunto: che l’infanzia e il momento conclusivo dell’esistenza siano cruciali nello scolpire i tratti distintivi della nostra personalità.

Si è certi che “L’albatro” farà incetta di premi e di riconoscimenti letterari prestigiosi. La scrittura della Lo Iacono, infatti, pur risultando scorrevole e gradevole anche ai lettori meno esigenti, è ravvivata da una rara eleganza e la sua cifra qualitativa supera di gran lunga quella mediamente offerta dall’attuale editoria.

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