Dalle 20 di ieri sera, è un uomo libero Alessio Attanasio, 51 anni, indicato dai magistrati della Procura distrettuale antimafia di Catania come il capo della cosca che porta il suo nome “Bottaro-Attanasio”.

Era in carcere da 20 anni

Il presunto boss, che si trovava rinchiuso nel carcere di Nuoro, in Sardegna, ha appena finito di scontare  l’ultima condanna definitiva per resistenza a pubblico ufficiale. Dopo 20 anni, Attanasio è uscito dal carcere: venne arrestato alla fine del dicembre del 2002 dagli agenti della Squadra mobile di Siracusa, in quel periodo guidata da Corrado Basile, adesso questore di Enna, mentre si trovava in compagnia di altre persone in un residence in Sila, in Calabria, per festeggiare il Capodanno.

Coinvolto nelle operazioni antimafia del Siracusano

Non avrebbe dovuto lasciare Siracusa, per questo ne fu disposto l’arresto ma negli anni successivi, a partire dal 2004, venne coinvolto nelle principali operazioni antimafia, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania, e nelle carte delle ordinanze emergeva il suo ruolo di leader della cosca che, secondo gli inquirenti, avrebbe scalato.

La fine dei due storici boss

Un tempo la cosca siracusana portava il nome Urso-Bottaro, dai due storici boss: Agostino Urso, ucciso a colpi d’arma da fuoco il 29 giugno del 1992 in uno lido balneare, e Salvatore Bottaro, ex genero di Attanasio, morto nel 2005 nella sua abitazione, in via Luigi Cassia.

Le due lauree di Attanasio

Durante la sua lunga detenzione, il presunto boss ha avuto modo di studiare, riuscendo ad ottenere due lauree, una in Scienza della Comunicazione, l’altra in Giurisprudenza. In articolo, pubblicato da Il Sole 24 Ore, Attanasio ha presentato, a partire dal 2017, 670 ricorsi in Cassazione che hanno impegnato la Suprema corte con 320 sentenze e 353 ordinanze.

Condanna in primo grado per omicidio

In realtà, i guai giudiziari per Alessio Attanasio non sono finiti, infatti il 4 febbraio scorso è stato condannato a 30 anni di carcere in quanto ritenuto responsabile dell’omicidio di  Giuseppe Romano, ammazzato  in via Elorina il 17 marzo del 2001.

Secondo quanto emerso nell’inchiesta, sulla scorta delle dichiarazioni dei pentiti, ad agire sarebbero stati in due, Attanasio ed un’altra persona, ormai deceduta ma il vero obiettivo dei killer sarebbe stato un imprenditore.

Quest’ultimo, stando alla tesi sostenuta dall’accusa, avrebbe ricevuto dai clan Bottaro-Attanasio e Santa Panagia una condanna a morte ma gli autori dell’agguato si sarebbero fatti ingannare  dall’auto, una Fiat 126, che era nella disponibilità dell’imprenditore ma fatalmente guidata, quel giorno, da Giuseppe Romano.

La difesa di Attanasio

Il boss ha sempre negato di aver commesso l’omicidio, indicando in un collaboratore di giustizia, tra i suoi accusatori, l’autore del delitto, insieme ad un sodale, quest’ultimo ammazzato nel maggio del 2002.

La difesa dell’imputato aveva richiesto una perizia balistica sulle traiettorie dei colpi fatali alla vittima, al fine di comprendere se le modalità dell’agguato, portato a termine da due persone in sella ad una moto, siano avvenute così come indicato dai collaboratori di giustizia. La seconda richiesta avanzata dall’avvocato Licinio La Terra Albanelli, difensore dell’imputato, era legata all’acquisizione di una documentazione attestante l’altezza della vittima, alta 190 centimetri,  mentre il vero obiettivo, l’imprenditore era molto più basso.

“Sto attendendo le motivazioni – dice a BlogSicilia l’avvocato Licinio La Terra Albanelli – della sentenza al fine di impugnare la sentenza di primo grado. Peraltro, il giudice ha chiesto ulteriori 90 giorni per il deposito delle motivazioni”.

Un altro processo per omicidio

C’è un altro processo per omicidio che pende per Attanasio, quello costato la vita ad Angelo Sparatore, ammazzato con sei colpi di pistola calibro 38 nel maggio del 2001 in via Gaetano Barresi, nel cuore della Mazzarrona, rione popolare a nord di Siracusa. La vittima, che all’epoca aveva 44 anni, stava per recarsi nel suo posto di lavoro, in pescheria, quando, secondo la ricostruzione degli agenti della Squadra mobile di Siracusa, fu avvicinato da due killer che gli scaricarono addosso una pioggia di piombo. Un delitto che, a parere degli inquirenti, poteva essere legato al pentimento del fratello, Concetto Sparatore, che qualche giorno prima, aveva deposto in un processo contro il boss di Lentini, Nello Nardo, vicino al clan catanese di Santapaola

 

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