Ci sarà meno mare libero per il pubblico e più concessioni per gli stabilimenti balneari. Lo denunciano le associazioni ambientaliste, riunite sotto il simbolo di Salvare Augusta, che hanno chiesto all’amministrazione comunale di revocare il Pudm, piano di utilizzo del demanio marittimo, votato dal Consiglio comunale.

Non indicate aree per il pubblico

“La divisione in aree, zone e lotti contenuta nel Pudm ha, in particolare, omesso di individuare le porzioni di costa destinate alla libera fruizione” scrivono gli ambientalisti.

Inoltre, il Piano adottato dal Consiglio si limita infatti a sancire in maniera del tutto generica, e dunque aleatoria, che “una quota non inferiore al 50% dell’intero litorale di pertinenza demaniale è destinata alla libera fruizione”, senza però stabilire alcuna zonizzazione di dettaglio che precisi e delimiti, attraverso le norme tecniche e nelle tavole di previsione, le parti vincolate a tale destinazione d’uso per ciascuna area omogenea e zona territoriale.

La beffa

Secondo quanto sostengono gli ambientalisti, le quote di costa destinate alla fruizione pubblica sono quelle inaccessibili. “Nel generico calcolo della percentuale da lasciare fruibile ai cittadini, il Piano sembra conteggiare anche le parti dichiarate inaccessibili perché soggette a dissesto idrogeologico.

Più spazi ai privati

Gli ambientalisti, analizzando nel dettaglio il Piano varato dal Consiglio comunale, ritengono che saranno avvantaggiati i privati, per cui andare al mare avrà dei costi per l’utenza.

“Se si prende l’esempio del litorale compreso – dicono gli ambientalisti – tra l’area del Faro S. Croce e Cala Paradiso (in cui non rientra la zona militare di Punta Izzo né la struttura in concessione alla società Porto Xifonia Augusta s.r.l.), dei 6,7 chilometri di costa, di cui 2 km inaccessibili e circa 700 metri già concessi a privati, il Comune prevede di destinarne a future concessioni 3 km. Ciò significa che su 4,7 km almeno sulla carta accessibili, solo 1 km sarà lasciato alla fruizione pubblica, ossia appena il 21 % a fronte di un minimo legale del 50 %”