Andrea Bonafede è stato molto più che un semplice prestanome di Matteo Messina Denaro. Ne sono convinti gli inquirenti che stanno scavando a fondo nella vita privata dell’uomo. A caccia di particolari che possono in qualche modo rendere l’attività investigativa ancora più proficua. Ieri l’arresto di Bonafede, 59 anni, geometra, che ha prestato la sua identità per permettere al latitante di poter viaggiare tranquillamente da una città all’altra e da una clinica all’altra.
La tesi del Gip
D’altronde il Gip che ha firmato l’ordinanza di arresto di Bonafede lo dice a chiare lettere nel suo provvedimento che non può essere “solo” un prestanome. Non si può pensare che un ruolo così delicato non vada ad un fedelissimo. Quindi non una persona comune ma qualcuno d’importante, che gli garantisse protezione che sapesse tutto di lui. L’arresto si incastra anche in questo ragionamento: si spera di poter carpire da lui qualche segreto del boss che conduca a rivelazioni importanti.
Bonafede nel “contesto associativo”
Sempre il Gip sostiene che Bonafede sia inserito all’interno nel “contesto associativo”. Quindi una persona che potrebbe sapere molte cose che magari ancora gli inquirenti non conoscono. Qualche altro covo, documenti i pizzini. Ogni elemento potrebbe essere una vera svolta per entrare nel cuore di cosa nostra e scoprirne ogni singolo segreto. D’altronde è risaputo che Messina Denaro fosse oramai per la Sicilia il più importante reggente della malavita organizzata. Quindi i suoi segreti sarebbero i segreti della mafia nel suo intero apparato.
La ricerca di documenti
Intanto sono ancora in corso accertamenti dei Ris nei vari immobili a disposizione di Andrea Bonafede, come la casa della madre. I carabinieri del nucleo speciale da giorni sono a Campobello di Mazara. Gli investigatori non intendono lasciare nulla al caso e scandagliano metro per metro. La convinzione è che possano esserci altri rifugi in cui l’ex superlatitante abbia potuto nascondersi. Soprattutto si cercano i soldi di cui aveva grande disponibilità ed incartamenti e documenti. In particolare quel famoso tesoretto fatto di documenti scottanti portati via dall’abitazione di via Bernini, a Palermo, dove abitò nell’ultimo periodo della latitante Totò Riina, e che diversi pentiti dicono sia stato affidato a Messina Denaro.
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