Trent’anni. Tanti ne sono passati da quel mite venerdì 15 gennaio del 1993, quando lo Stato mise a segno uno dei colpi più duri nei confronti della mafia, con l’arresto del boss Totò Riina, il capo indiscusso di Cosa Nostra e mandante dei più efferati crimini legati alla criminalità organizzata in Sicilia.
Da allora, la lotta alla mafia non è più stata la stessa e si è tracciata un’altra strada, quella della legalità, a partire da Corleone e dalle altre roccaforti mafiose. Di Riina, all’epoca, resisteva soltanto una vecchia foto in bianco e nero, perché a parlare per lui erano gli omicidi, per ultimi quelli di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Il piano per la cattura
Ed è proprio all’indomani delle stragi di Capaci e via D’Amelio che viene deciso di accelerare. I Carabinieri si riuniscono a Palermo, siamo nell’autunno del 1992, e viene messa a punto una strategia per arrivare alla cattura del potente boss, latitante da quasi venticinque anni. Si confrontano le informazioni a disposizione ed emerge con vigore la figura del capitano Sergio De Caprio, comandante del nucleo Crimor del ROS, che passerà poi alla storia come “Ultimo”, colui che materialmente mise le manette a Riina.
Il ruolo di Balduccio Di Maggio
Il giorno dell’arresto
La mattina del 15 gennaio 1993, poco prima delle ore 9 del mattino, Balduccio Di Maggio riconosce Salvatore Riina e l’autista Salvatore Biondino intenti ad allontanarsi in auto dall’edificio di via Bernini 54. La macchina viene pedinata dai Carabinieri e pochi minuti dopo, in viale Regione Siciliana, viene concretizzato in pieno giorno l’arresto del più pericoloso e potente capo mafioso. Riina, ammanettato da De Caprio, aveva all’epoca da poco compiuto 62 anni e tremava di paura con la pistola puntata addosso. Finalmente il volto di uno degli uomini più sanguinari della storia d’Italia entrava nelle case degli italiani, a colori, nelle mani dello Stato che lo avrebbe presto consegnato al 41-bis.
I punti oscuri
Nei giorni successivi, la mancata perquisizione dell’abitazione di Riina, svuotata in fretta e furia dai propri sodali, resta una macchia nell’operazione, che la Procura di Palermo considerò come frutto di un equivoco. Permangono delle ombre sulla figura ambigua di Di Maggio, c’è chi parla di tradimento a Riina da parte di un altro boss, chi si distacca dalla narrazione ufficiale degli eventi che hanno portato alla cattura del Capo dei Capi. Ciò che è certo, però, è che quel giorno di trent’anni fa segnò anche un punto di partenza a partire dal quale tanti passi avanti sono stati fatti sul fronte della legalità.
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