Dopo qualche mese si sarebbe dato alla macchia e fino alla sua morte sarebbe riuscito a sfuggire alla giustizia. Ma per i giudici di Trapani il boss Francesco Messina Denaro, a capo del mandamento di Castelvetrano dagli anni ’80, padre di Matteo, ex primula rossa di Cosa nostra, era un “lavoratore assiduo” e un “risparmiatore oculato” e non c’erano prove della sua vicinanza a Cosa nostra.

Un giudizio in netto contrasto con le valutazioni dell’allora pm di Marsala Paolo Borsellino che per don Ciccio aveva chiesto la misura di prevenzione della sorveglianza speciale.

“Non luogo a procedere” fu il verdetto dei giudici del tribunale di Trapani Massimo Palmeri, Giuseppe Barracco e Tommaso Miranda che a luglio del 1990 respinsero la richiesta della Procura di Marsala, sostenendo che non ci fossero elementi per applicare al padrino la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale.

Barracco nel frattempo è morto, Miranda è presidente di sezione del tribunale a Napoli e Palmeri, attuale procuratore di Enna, ha fatto domanda come procuratore aggiunto a Palermo e dopo aver perso il concorso per la guida dell’ufficio inquirente di Marsala attende l’esito del ricorso contro il suo avversario, Fernando Asaro nominato dal Csm procuratore.

Le lettere all’ex sindaco furono scritte da Messina Denaro

I lettere, o “pizzini”, ricevuti dall’ex sindaco di Castelvetrano Antonino Vaccarino e attribuiti al boss Matteo Messina Denaro sono stati realmente scritti dal boss. Lo ha accertato la criminalista Katia Sartori, che su incarico della moglie dell’ex sindaco ha effettuato una perizia calligrafica. Ad essere effettuato uno studio e la comparazione di cinque diversi documenti inviati dal capomafia alla sorella Rosalia, ad Antonio Vaccarino e ai boss Lo Piccolo. Gli avvocati Baldassare Lauria e Giovanna Angelo, ex difensori di Vaccarino, sostengono che sia “assolutamente inverosimile che Matteo Messina Denaro avesse bisogno di qualcuno che scrivesse al suo posto persino per le lettere inviate dallo stesso ai familiari”.

La tesi dei legali

Lauria e Angelo partono dall’ipotesi, spesso avanzata, che l’allora latitante si servisse di un’altra persona per la sua corrispondenza. Ecco perché restano scettici in seguito all’esito delle conclusioni della consulenza. “I contrassegni particolari riscontrati analogamente in tutti i documenti analizzati – si legge nelle conclusioni della consulenza – sono caratteristici dei singoli individui. A differenza dei connotati salienti, sono personali e riconducibili ad un particolare soggetto e solo allo stesso riferibili”.

La vecchia consulenza

Una consulenza tecnica, richiesta dalla magistratura, in passato aveva escluso la riferibilità a Matteo Messina Denaro delle missive inviate ad Antonio Vaccarino. Consulenza che fu fatta durante il periodo in cui Vaccarino collaborava con il Sisde con l’obiettivo di arrivare alla cattura del latitante. “Oggi, con la comparazione di più scritti inviati a più soggetti – affermano gli avvocati Lauria e Angelo – possiamo escludere che a Vaccarino scrivesse una persona diversa. Questo ci permette di poter scardinare le teorie complottiste e le fantasie di presunti testimoni”.

Il “politico dei misteri”

Vaccarino morì nel 2021 a causa di complicanze legate al covid 19. In carcere l’ex sindaco, politico dei misteri coinvolto in affari di mafia, massoneria, spionaggio, era finito nuovamente nell’aprile 2019. In primo grado venne condannato a sei anni perché avrebbe ricevuto da un colonnello dei carabinieri in servizio alla Dia di Caltanissetta uno stralcio di una intercettazione. E l’ex sindaco, a sua volta, l’avrebbe girato a Vincenzo Santangelo, titolare di un’agenzia funebre, con una vecchia condanna per mafia.