Si è svolto giovedì scorso ed è durato due ore il secondo interrogatorio di Matteo Messina Denaro.
Il boss ha dovuto rispondere alle domande del presidente della sezione gip di Palermo, Alfredo Montalto.
Con scrive il Giornale di Sicilia, i magistrati gli hanno contestato una tentata estorsione, i cui contorni sono ancora da chiarire, avvenuta nel 2013 e legata ad un terreno di contrada Zangara a Castelvetrano.
Messina Denaro è accusato dopo che alcuni “pizzini” sono stati trovati a due suoi presunti complici originari di Campobello di Mazara.

In videoconferenza dal carcere dell’Aquila

Il boss, collegato in videoconferenza dalla sala delle udienze del carcere dell’Aquila, ha risposto alle domande del presidente Montalto e dei sostituti procuratori della Dda di Palermo, Giovanni Antoci e Gianluca De Leo. Presente anche il legale di Messina Denaro, la nipote Lorenza Guttadauro che qualche giorno fa aveva sollevato dubbi sulle cure in carcere sostenendo che il boss è in gravi condizioni.

L’inchiesta Ermes 3

Dal capomafia di Castelvetrano nessuna ammissione di colpevolezza.
Il nuovo interrogatorio di garanzia di Messina Denaro davanti al gip Montalto è legato alla notifica di un ordine di custodia cautelare (che non era stato possibile eseguire a motivo della sua latitanza) emesso nell’ambito dell’inchiesta «Ermes 3», l’operazione antimafia della Squadra mobile di Trapani, scattata il 20 giugno 2020 e che ora ha un troncone in udienza preliminare a Palermo e un processo in corso a Marsala (presiede il tribunale Alessandra Camassa, pubblico ministero Francesca Dessì della Dda di Palermo).

L’accusa di tentata estorsione

Matteo Messina Denaro è accusato insieme a due arrestati del blitz Ermes 3, Marco Manzo, di 56 anni, e Giuseppe Calcagno, di 47 anni, sotto processo davanti al Gup di Palermo.
Giuseppe Calcagno è indicato dalla Direzione distrettuale antimafia come fedelissimo del defunto capomafia mazarese Vito Gondola detto “coffa”, arrestato in un’inchiesta in cui erano emersi proprio i nomi di Calcagno e Manzo.
In pratica Messina Denaro è accusato di tentata estorsione per un “pizzino” di minacce scritto per entrare in possesso di un terreno a Castelvetrano.
Il terreno è di proprietà di Giuseppe La Rosa e Giuseppina Passanante, figlia del defunto boss di Campobello di Mazara, Alfonso.
Pare che il fondo di contrada Zangara fosse appartenuto a Totò Riina.
La tentata estorsione avvenne nel 2013, quando Messina Denaro era latitante ormai da vent’anni.
I destinatari della richiesta, tuttavia, non avrebbero avuto bene chiaro chi ambiva a quel terreno, e quindi non diedero seguito alla richiesta stessa.

Le indagini portano a Castelvetrano

Sarebbe stato diagnosticato a Castelvetrano, da un medico specialista del paese, il tumore da cui è affetto il boss. La procura di Palermo sta indagando per ricostruire tutti i passaggi sanitari e arrivare ai nomi dei professionisti coinvolti nel percorso che, poi, ha portato il capomafia a sottoporsi a due interventi chirurgici: uno di rimozione del cancro subito a Mazara del Vallo nel 2020, l’altro di asportazione delle metastasi alla clinica La Maddalena di Palermo nel 2021.
La diagnosi seguita a una colonscopia sarebbe stata fatta a Castelvetrano da un endoscopista. Il capomafia, dunque, all’epoca ricercato numero uno da mezzo mondo, sarebbe tornato nel suo paese per farsi visitare.
I pm dovranno anche verificare se i medici interessati fossero al corrente dell’identità del paziente che, almeno negli ultimi due anni, usava la carta di identità del geometra Andrea Bonafede. La procura non ha dubbi che almeno il medico di Campobello, Alfonso Tumbarello, uno dei professionisti che ha avuto in cura il capomafia ne conoscesse la vera identità. Tumbarello è stato arrestato infatti per concorso in associazione mafiosa e falso ideologico.

Andrea Bonafede chiede la scarcerazione ai giudici del Riesame

Intanto ha presentato istanza di scarcerazione al tribunale del Riesame Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che ha prestato l’identità a Messina Denaro, arrestato con le accuse di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena aggravati dall’aver favorito Cosa nostra.
Come detto, in cella, insieme a Bonafede, è finito anche Alfonso Tumbarello, il medico di Campobello di Mazara che ebbe in cura il boss durante la latitanza.

Le accuse dei pm

Tumbarello non ha ancora presentato ricorso al Riesame ma ha tempo per farlo fino al 18 febbraio. Secondo i pm Piero Padova e Gianluca De Leo, Bonafede si sarebbe occupato di ritirare le prescrizioni di farmaci ed esami clinici fatte da Tumbarello a nome del cugino, di consegnare al medico la documentazione sanitaria che di volta in volta il boss riceveva durante le cure, contribuendo così a mantenere segreta la reale identità del “paziente” e consentendogli di proseguire la latitanza.
Tumbarello, invece, avrebbe assicurato a Messina Denaro l’accesso alle cure del Servizio Sanitario Nazionale attraverso un percorso terapeutico durato oltre due anni, con più di un centinaio di prescrizioni sanitarie e di analisi (o richieste di ricovero) intestate falsamente al geometra Andrea Bonafede, mentre in realtà a beneficiarne era il capomafia, assistito personalmente e curato dal dottore.
Il medico avrebbe così garantito al padrino non solo le prestazioni necessarie per le gravi patologie di cui soffriva, ma anche la riservatezza sulla sua reale identità, e dunque gli avrebbe consentito di continuare a sottrarsi alla cattura e di restare a Campobello di Mazara a capo dell’associazione mafiosa.

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