Il sequestro la sera del primo settembre

Pescherecci sequestrati in Libia, dopo il danno anche la beffa, arriva multa da duemila euro ad armatore

  • Pescherecci sequestrati in Libia, diciotto marinai e due imbarcazioni bloccate la sera del primo settembre
  • La prigionia dura 108 giorni
  • Le trattative per il rilascio e le iniziative della politica e delle famiglie dei marinai
  • La liberazione dei marinai avviene il 17 dicembre scorso

Oltre il danno anche la beffa: l’armatore dell’Antartide, uno dei due pescherecci sequestrati per 108 giorni in Libia, ha ricevuto dalla Capitaneria di Mazara del Vallo (Trapani) una multa di 2mila euro. Motivo? Su 12 giorni di fermo biologico, effettuati nel 2019, ne ha comunicati nove.

Basterebbe comunicare gli ultimi tre, ma i dati, come altre informazioni, sono contenuti nel ‘logbook’ elettronico, strumento di bordo rubato assieme ad altri apparati quando il peschereccio era sotto sequestro in Libia.

La multa è di 2.010,65 euro. Nel verbale notificato dalla Capitaneria si legge: “Nello specifico venivano effettuate, a fronte di 12 giornate di arresto temporaneo obbligatorio aggiuntivo soltanto 9 giornate utili al fine del conteggio annuale”. “Con tale condotta illecita – c’è scritto nel verbale – l’unità di pesca ha di fatto esercitato la propria attività di pesca in periodi non consentiti dalla vigente normativa del settore”. L’armatore dell’Antartide, Leonardo Gancitano, sostiene che ora “è impossibile risalire ai dati contenuti nel logbook elettronico, lo strumento che fornisce le informazioni sul pescato e sul luogo in cui si trova un peschereccio in un determinato giorno”. “Ne abbiamo parlato con il responsabile di Federpesca – aggiunge Gancitano – Speriamo veramente di venire a capo di questa situazione”.

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Occorre ricordare la vicenda conclusasi lo scorso mese di dicembre con la liberazione ed il ritorno a casa dei diciotto marinai sequestrati la sera del primo settembre.

I due pescherecci mazaresi la sera del primo settembre si trovano a circa 40 miglia dalla costa di Bengasi in acque internazionali, ma all’interno dell’area di 74 miglia decisa unilateralmente da Tripoli come Zona di pesca esclusiva. Lì furono bloccati, da qui la prigionia per centootto lunghi giorni e le trattative per la loro liberazione. Non dimentichiamo i presidi senza sosta delle famiglie dei marinai davanti Montecitorio e le pressioni della politica e del Governo regionale sull’esecutivo nazionale per trovare una soluzione.

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Da non dimenticare la vicinanza della Chiesa e della diocesi di Mazara con il suo arcivescovo Domenico Mogavero: “Non si può perdere di vista che 18 vite umane non hanno prezzo – aveva detto Mogavero – qualunque soluzione, anche basata su un onorevole compromesso, deve essere ricercata, bruciando i tempi, divenuti ormai troppo lunghi e gravosi per tutti: per i prigionieri e per chi ne attende la desiderata liberazione”.

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