Nunzia Bivona, 50 anni, palermitana, sindacalista (UilTucs), è stata condannata, con rito abbreviato, dal gup di Trapani Massimo Corleo a due anni, 10 mesi e 20 giorni di reclusione (pena sospesa) nell’ambito del procedimento penale scaturito dall’operazione dalla Guardia di finanza A shot of money, relativa alle estorsioni in busta paga che sarebbero state commesse, fino all’inizio del 2019, in danno di diversi dipendenti del supermercato Conad di Trapani, quando questo era gestito dalla società “L’Arcipelago”.

Busta paga col pizzo, i nomi

Estorsioni che, secondo l’accusa, sarebbero state commesse con la complicità (concorso morale e materiale) di due sindacalisti. E una sarebbe la Bivona, mentre l’altro, Antonino Bignardelli, 53 anni, di San Vito Lo Capo, della Cildi, è già stato rinviato a giudizio dal gup di Trapani.

A giudizio insieme a Gianluca Amato, 48 anni, Salvatore Vitale, 42 anni, entrambi di Carini (Pa), rispettivamente presidente del cda e consigliere delegato de L’Arcipelago“, Massimo Leonardi, 47 anni, catanese, e Romina Fiore, 39 anni, palermitana, responsabili all’epoca dei fatti del Conad di Trapani.

Conad Superstore TrapaniTutti sono accusati di estorsione in concorso. Amato e Vitale anche di riciclaggio.

La condanna della sindacalista Uiltucs

La Bivona è stata condannata anche a mille euro di multa e al pagamento del risarcimento danni in favore delle parti civili con somme da quantificare davanti al giudice civile. Per la sindacalista, il pm Francesca Urbani aveva chiesto una condanna a 4 anni di carcere.

Le indagini della Finanza

Secondo le Fiamme Gialle, “gli indagati, approfittando della situazione del mercato del lavoro a loro favorevole, costringevano numerosi lavoratori, con la minaccia implicita del licenziamento e della mancata riassunzione, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, con la sottoscrizione di buste paga attestanti il pagamento di somme inferiori rispetto a quelle che avrebbero dovuto ricevere per l’attività effettivamente svolta, nonché a presentare dimissioni indotte”.

Le “costrizioni” secondo l’accusa, sarebbero state favorite e portate a compimento grazie “alla compiacenza di due assistenti sindacali che, omettendo ogni tipo di assistenza in favore dei lavoratori, si limitavano a far firmare agli stessi le transazioni pervenute dal rappresentante legale della società palermitana (nell’esclusivo interesse della stessa) nonché a far sottoscrivere loro verbali di conciliazione in cui i dipendenti rinunciavano a tutte le legittime spettanze ed ai diritti acquisiti (ferie, straordinario, permessi)”.

Le suddette condotte hanno permesso alla società di conseguire un rilevante profitto illecito, pari a circa mezzo milione di euro, derivante dalla mancata corresponsione delle retribuzioni effettivamente dovute ai lavoratori.

 

Articoli correlati