E’ divenuta definitiva, con il sigillo della Cassazione, la sentenza con cui, il 28 novembre 2018, la terza sezione penale della Corte d’appello di Palermo confermò, aumentando la pena da nove anni di carcere a nove anni e mezzo, la condanna che il primo settembre 2017 fu inflitta dal gup di Marsala Riccardo Alcamo a Giuseppe Maurizio Spanò, di 57 anni, l’infermiere accusato di violenze sessuali su pazienti sedati per esami diagnostici.
Nel processo di primo grado, due periti super partes nominati dal giudice (il medico-psichiatra Gaetano Gurgone e la psicoterapeuta Francesca Lombardi) attestarono che l’infermiere, quando agiva, “era assolutamente in grado di intendere e di volere”.
E ciò fu confermato anche dai periti ascoltati nel processo di secondo grado. La difesa, infatti, puntava sulla “parziale” incapacità di intendere e volere dell’imputato, che non è stata riconosciuta dai giudici. Il processo a Spanò è nato dalla riunione di due procedimenti.
Quello relativo alla prima denuncia sporta da una donna che si risvegliò dalla sedazione prima del previsto e quello avviato per i sei casi di abusi filmati dalle telecamere successivamente installate dai carabinieri, che il 15 marzo 2016 hanno posto l’infermiere agli arresti domiciliari.
Seguirono, poi, altre querele di altri pazienti. In primo grado, per Giuseppe Maurizio Spanò il pm Silvia Facciotti aveva invocato la condanna a 13 anni di carcere.
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