Il magistrato di sorveglianza Walter Carlisi ha dichiarato “cessata” la “pericolosità sociale” del boss Fabrizio Messina, 47 anni, di Porto Empedocle, nell’agrigentino, due volte condannato per mafia. I suoi guai erano cominciati dopo la sentenza dell’operazione “Nuova cupola”, che riconosceva il suo ruolo di boss di Porto Empedocle. In buona sostanza aveva seguito la “tradizione di famiglia” dei fratelli Gerlandino e Salvatore. Il primo arrestato il 23 ottobre 2010 a Favara, dopo 11 anni di latitanza. Da qui gli era stata applicata la libertà vigilata che prevede delle restrizioni come il divieto di frequentare pregiudicati e l’obbligo di dimora e di restare in casa in alcuni orari serali.
Percorso di volontariato e lavoro
L’avvocato dell’oramai ex boss, Salvatore Pennica, si era rivolto al magistrato per inoltrare istanza di decadenza delle misure restrittive. E secondo il giudice è venuta a decadere la pericolosità del boss. Il capomafia del quartiere Cannelle ha intrapreso, secondo il giudice, un percorso fatto di volontariato e lavoro. Proprio per questo è venuta meno la sua pericolosità sociale, pur in assenza di una manifesta dissociazione da Cosa nostra.
Il caso di Brusca
Da sempre il dibattito attorno ai boss e alle loro pene infiamma il dibattito nella giustizia. L’ultimo caso è quello che ha riguardato Giovanni Brusca, il boss sanguinario di San Giuseppe Jato, nel Palermitano. Dal maggio scorso Brusca è libero. Il giudice lo ha comunque dichiarato “socialmente pericoloso”. Per questo motivo è stata disposta la sorveglianza speciale.
E’ socialmente pericoloso, spedito in una casa lavoro
L’ex boss pentito è libero dal 31 maggio dell’anno scorso, dopo aver scontato 25 anni di carcere. Giovanni Brusca, il capomafia che azionò il telecomando della strage di Capaci e poi decise l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, è considerato uno dei collaboratori di giustizia più attendibili per il contributo offerto a svelare i segreti di Cosa nostra.
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