La “situazione a bordo è molto complicata e può peggiorare da un momento all’altro, abbiamo bisogno di una soluzione prima possibile”: all‘undicesimo giorno in mare, Open Arms torna a chiedere un porto sicuro per poter sbarcare le persone salvate davanti alla Libia, accusando l’Europa di averle “abbandonate”.
“La stanchezza è tanta, ma non è non solo fisica – scrive su twitter la Ong catalana – è anche la consapevolezza della follia di questa situazione, con 160 persone fragili e bisognose di aiuto in mare da 11 giorni”.
Una situazione di cui è colpevole anche l’Ue: “la sua mancanza di umanità è assoluta” dice ancora la Ong mentre la capo missione Anabel Mier Montes, in un’intervista a ‘Catalunya Radio’ parla di “indifferenza” di Bruxelles e denuncia i politici che usano i migranti come “armi per fare politica”.
A bordo intanto sono rimasti in 151: dopo il ventenne con presunta tbc sbarcato ieri a Lampedusa con una motovedetta della Guardia Costiera italiana, questa mattina è stato completato anche il trasferimento a Malta di due donne che avevano bisogno di cure in ospedale e dei loro accompagnatori, in tutto otto persone. Sono stati trasferiti su una motovedetta delle forze armate maltesi e portati a La Valletta.
E intanto, dopo Richard Gere e Antonio Banderas, un’altra star del cinema come Javier Bardem si schiera con Open Arms, chiedendo al governo spagnolo di intervenire e di fare pressione sull’Europa affinché i migranti a bordo possano sbarcare ed essere ridistribuiti nei vari paesi europei.
“Open Arms – dice Bardem in un video – sta facendo un lavoro straordinario e necessario per la dignità umana e per salvare la vita di persone che scappano da situazioni che noi non possiamo neanche immaginare, con l’unico obiettivo di dare un futuro ai propri figli e alle proprie famiglie”.
Ancora in mare resta anche la Ocean Viking, la nave di Sos Mediterranee e Medici Senza Frontiere che in 3 diverse operazioni di soccorso nei giorni scorsi ha recuperato 250 persone.
“In molti – racconta Luca Pigozzi, il coordinatore del team di Msf – hanno raccontato di essere stati torturati con scosse elettriche, di esser stati picchiati con pistole e bastoni, di aver subito bruciature con plastica fusa. Ci hanno detto che provano ancora dolore per le ferite subite in Libia”.
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