Gaetano Rampello, 57 anni, ha confessato di avere ucciso il figlio Vincenzo Gabriele, di 24 anni, in piazza a Raffadali. L’ammissione di colpa è stata resa davanti al sostituto procuratore di Agrigento, Chiara Bisso, che lo ha interrogato assieme al capitano Alberto Giordano, che coordina il Nor della compagnia della Città dei Templi, che lo ha poi arrestato.
Dissidi di natura economica
L’assistente capo della polizia, assistito dall’avvocato Daniela Posante, ha ammesso d’aver sparato ripetutamente al figlio. I carabinieri della compagnia di Agrigento, guidati dal maggiore Marco La Rovere, hanno ricostruito i continui dissidi familiari, anche di natura economica, fra il padre, che viveva a Catania, e figlio che, dopo la separazione dei genitori, era rimasto a vivere da solo a Raffadali.
Il ragazzo, a quanto pare, non stava bene, avrebbe avuto dei problemi psicologici.
Il fatto
L’uomo ha sparato 15 colpi, a distanza ravvicinata, con la pistola di ordinanza, per uccidere il figlio di 24 anni, in piazza Progresso a Raffadali. Poi si è allontanato dal luogo del delitto andandosi a sedere su una panchina in attesa di un autobus. I carabinieri del Nor della compagnia di Agrigento lo hanno trovato e fermato.
Stupore tra i colleghi: per loro era impensabile che un uomo in divisa potesse trasformarsi in un killer a sangue freddo.
La confessione
Lo ha insultato pesantemente e poi gli ha intimato di consegnargli dei soldi che spendeva anche per fare acquisti online: “mi devi dare altri 15 euro…”, gli ha urlato. Sarebbe la causa scatenante dell’omicidio di Raffadali secondo confessione di Gaetano Rampello
L’agente, assistito dal suo legale Daniela Posante, ha reso una piena confessione ai carabinieri del Nor della compagnia di Agrigento. Poco prima di interrogarlo il pubblico ministero Chiara Bisso aveva fatto disporre l’esame dello stub. Rampello ha inquadrato il delitto nel profondo disagio vissuto all’interno della famiglia per le condizioni di salute del ragazzo che aveva delle fragilità psicologiche e che, per tre anni, secondo il racconto del padre, era stato ricoverato in una struttura specializzata.
“Gli davo 600 euro al mese – ha detto Gaetano Rampello – ma non gli bastavano mai, mi picchiava e minacciava sempre per i soldi“. Questa mattina l’ennesima lite, per strada, dove padre e figlio si erano incontrati in seguito all’ultima richiesta di denaro. “Mi ha telefonato chiedendomi 30 euro – avrebbe detto durante l’interrogatorio – quando glieli ho dati ha iniziato a insultarmi e minacciarmi dicendomi che ne voleva 50. Mi ha aggredito e sfilato il portafogli prendendo altri 15 euro, di più non avevo in tasca. A quel punto ho avuto un corto circuito – ha ricostruito il poliziotto – e gli ho sparato non so quanti colpi”.
Il giovane in passato era stato più volte denunciato per delle aggressioni subite dal padre.
Patronaggio: “Il malessere delle famiglie acuito dalla pandemia”
“I recenti episodi di tragica ed inaudita violenza avvenuti in questi giorni in provincia di Agrigento hanno evidenziato malesseri profondi all’interno della società e delle famiglie, acuiti dal grave isolamento provocato dalla pandemia e non adeguatamente contenuti da un sistema socio- sanitario-assistenziale non sempre pronto ad erogare idonei servizi alla collettività”. Lo ha detto il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, dopo l’omicidio del ventiquattrenne di Raffadali, ammazzato in piazza Progresso, dal padre Gaetano, 57 anni, assistente capo coordinatore della polizia di Stato in servizio al X Reparto Mobile di Catania. Il riferimento è anche alla strage di Licata del 26 gennaio scorso quando un uomo ha ucciso il fratello, la cognata e i loro due figli, di 15 e 11 anni, e poi si è suicidato.
” Troppo spesso quelli che vengono definiti ‘gesti di follia’ – ha aggiunto il magistrato che coordina le indagini dei carabinieri – sono il portato di conflitti sociali e familiari che il ‘sistema’, inteso in senso ampio e non escluso quello giudiziario, non è stato in grado di adeguatamente e legittimamente arginare e contenere”.
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