136 anni di reclusione in abbreviato per gli 11 appartenenti al sodalizio criminale sgominato dalla polizia nel giugno dello scorso anno con l’accusa di aver favorito l’immigrazione clandestina, la tratta di persone e lo sfruttamento della prostituzione. Il clan, che aveva come base logistica Catania, si era allargato tanto che furono interessati dalla retata  anche le città di Messina, Caltanissetta, Verona, Novara e Cuneo. Ha retto in toto l’impianto accusatorio. Questi i nomi e le relative condanne: venti anni di reclusione ad Osazee Obaswon, 34 anni, arrestato a Messina; 8 anni e mezzo a James Arasomwan, 33 anni, arrestato a Messina; 12 anni a Macon Benson, 30 anni, arrestato a Messina; 15 anni e mezzo per Tessy William, 30 anni, arrestata a Novara; 9 annie  8 mesi per Evelyn Oghogho, 27 anni, arrestata a Novara; 13 anni per Faith Ekairia, 40 anni, arrestata a Verona; 15 anni e 4 mesi per Joy Nosa, 42 anni, arrestata a Verona; 12 anni e mezzo per Nelson Ogbeiwi, 37 anni, arrestato a Verona; 6 anni per Belinda John, 41 anni, arrestata a Caltanissetta; 13 anni e 4 mesi per Rita Aiwuyo, 49 anni, arrestata a Mondovì; ed infine 10 anni per Julius Uwadiae, 43 anni.

Le accuse

Sono tutti ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere finalizzata alla tratta di persone e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, tratta di persone, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione. A loro sono state contestate anche le aggravanti della transnazionalità del reato, di avere agito mediante minaccia attuata attraverso la realizzazione del rito religioso-esoterico del voodoo, approfittando della peculiare situazione di vulnerabilità e di necessità delle vittime (talvolta minori), mediante inganno consistito nel tacere l’effettiva destinazione al meretricio e nel rappresentare falsamente la possibilità di svolgere un’occupazione lavorativa lecita, ciò al fine di sfruttare la prostituzione ed esponendo le persone offese ad un grave pericolo per la vita e l’integrità fisica (facendo loro attraversare il continente di origine sotto il controllo di criminali, che le sottoponevano a privazioni di ogni genere e a diverse forme di violenza, facendole giungere in Italia via mare a bordo di imbarcazioni occupate da moltissimi migranti, esponendole ad un altissimo rischio di naufragio).

L’operazione del 2020

L’operazione scattò a conclusione degli esiti di un’articolata attività investigativa di tipo tecnico avviata dalla squadra mobile di Catania con il coordinamento della Dda etnea, a seguito delle dichiarazioni rese da una giovane donna nigeriana due anni prima insieme ad altri 433 migranti di varie nazionalità, presso il porto di Catania a bordo della motonave “Aquarius” della Ong “Sos Mediterranée”. Durante le fasi di accoglienza dei migranti un team di investigatori della sezione criminalità straniera, specializzato nella cosiddetta early identification di presunte vittime di tratta, individuava un soggetto vulnerabile, “Giuly”(nome di fantasia) che dichiarava di aver lasciato il suo paese perché convinta da un connazionale di nome “Osas”, che le aveva proposto di raggiungerlo in Italia, promettendole un lavoro lecito e anticipandole le spese del viaggio.

I racconti agghiaccianti

Dal racconto della giovane emergevano plurimi dettagli sulla fase del reclutamento in Nigeria (dalla indicazione del Ju-Ju man ovvero lo stregone che aveva officiato il rito, alla procedura del giuramento e della sottoposizione al rito Ju-Ju, sotto la minaccia del quale la giovane aveva assunto il solenne impegno di non denunciare, di non fuggire e di pagare il debito d’ingaggio assunto, ammontante a 25 mila euro) alla fase del trasferimento in Italia dalla Libia dove veniva imbarcata su un natante di fortuna per poi essere soccorsa insieme agli altri migranti e condotta a Catania.

Articoli correlati