Un’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata notificata dai carabinieri di Catania al ‘killer delle carceri’, Antonio Marano, 75 anni, per concorso nell’omicidio di Dario Chiappone, di 30 anni, assassinato il 31 ottobre del 2016 a Riposto. Ad accusarlo sono le sue impronte digitali trovate da militari del Ris sul luogo del delitto. Era già detenuto per detenzione illegale di arma da fuoco perché arrestato lo scorso maggio dai carabinieri di Catania in possesso di una pistola calibro 7,65. Sicario del gruppo dei ‘Cursoti’ milanesi, pluriergastolano, era tornato in libertà da circa sei anni. Per l’omicidio di Riposto è stato già arrestato il 23 giugno 2017, ed è in attesa di giudizio, Agatino Tuccio, mentre è ancora irreperibile Salvatore Di Mauro. Antonino Marano, assieme a Antonino Faro e al rivale Vincenzo Andraus, è uno dei ‘killer delle carceri’, autori di diversi omicidi e gesti eclatanti, come l’evasione nel 1978, assieme a tre complici, compreso Faro, dal carcere di Catania.

Sicario di grosso spessore criminale è stato anche protagonista di episodi che segnarono la cronaca criminale degli anni ’80. Come quando nel carcere di San Vittore a Milano, con Faro, urlò di essere in possesso di una bomba e col complice fece irruzione nella cella di Andraus per ucciderlo con un tubo della doccia che “avevamo staccato con le mani” per “assassinare un infame”, ma l’intervento dei secondini bloccò il tentativo di omicidio.

Ai giornalisti, durante il processo in cui i due furono condannati a 17 anni di carcere ciascuno, non spiegarono il movente: “se Andraus fosse morto – sostenne Marano – si poteva dire, ma purtroppo è vivo. Quando morirà ne riparleremo…”. Il 5 ottobre del 1987 lui e Faro furono vittime di un attentato nell’aula della Corte di Assise di Milano: durante la requisitoria del Pm Francesco Di Maggio al processo Epaminonda, il detenuto Nuccio Miano sparò con una pistola diversi colpi contro di loro, ma ferì due carabinieri. Il tentativo di vendetta arrivò un anno dopo. Era il 7 novembre del 1988 e nell’aula-bunker delle Vallette di Torino si celebrava un processo-stralcio contro il ‘clan dei catanesi’ davanti la Corte d’assise presieduta da Gustavo Zagrebelsky, quando da una delle gabbie Marano lanciò una bomba-carta contro la celle in cui si trovano i fratelli Nuccio e Luigi ‘Jimmy’ Miano. L’ordigno artigianale realizzato con dell’esplosivo nascosto dentro un pacchetto di sigarette non colpì il bersaglio, ma una canaletta elettrica e un termosifone in ghisa sventrato dall’esplosione. Storie che sembravano finite impolverate nell’antica sanguinosa storia di Cosa nostra di Catania, rispolverate dalle nuove accuse ad uno dei ‘killer delle carceri”, il 75enne Antonino Marano.

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