Un vorticoso giro di false fatture e di produzioni fittizie di agrumi mai coltivati per far lievitare il giro di affari di tre diversi consorzi e metterli in condizione di accedere agli aiuti stabiliti dalla Comunità europea per il settore agricolo.
E’ quanto hanno scoperto i finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Messina che hanno concluso l’operazione “Agrumi d’oro” che ha permesso di scoprire un complesso sistema di frode ai danni dell’Unione Europea messo in atto utilizzando il consorzio Agridea di Capo d’Orlando, operante nel settore della lavorazione della frutta.
In particolare, le Fiamme Gialle, attraverso accurate indagini dirette dalla Procura della Repubblica di Patti, hanno ricostruito un vorticoso giro di fatture ritenute false, quantificato in oltre sessantasette milioni di euro, per il periodo che va dal 2011 al 2015, fondato sulla compravendita di prodotti agricoli, quali limoni, che, in realtà, non sarebbero mai stati né prodotti né acquistati.
Le fatture considerate fittizie venivano emesse in maniera “circolare” tra il predetto consorzio e altri due analoghi enti, consorzio P.A.C e consorzio U.P.E.A., anch’essi con sede nella città orlandina e facenti capo al medesimo gruppo societario, col preciso obiettivo di far lievitare, solo sulla carta, il volume della produzione di agrumi del consorzio Agridea al fine di consentire a quest’ultimo di acquisire le caratteristiche richieste dalla normativa vigente per poter accedere agli aiuti economici europei in agricoltura.
La minuziosa attività investigativa dei finanzieri avrebbe, inoltre, permesso di accertare che le estese superfici dichiarate come coltivate ad agrumeto per ottenere i contributi e riconducibili al primo consorzio sarebbero sensibilmente inferiori al reale, circa il 62% in meno. Peraltro, alcuni di questi terreni sarebbero risultati addirittura incolti o destinati a usi diversi da quelli agricoli. In aggiunta, gran parte degli agricoltori che il consorzio dichiarava
come propri associati avrebbe negato l’esistenza con esso di rapporti di qualsiasi tipo.
Nel corso dei minuziosi controlli sarebbe emerso, inoltre, che alcuni macchinari per smistare i prodotti utili per la successiva commercializzazione ed in uso ai tre consorzi non erano mai entrati in funzione, sin dalla data del loro acquisto. Analogamente, le celle frigorifere sono risultate costantemente vuote durante l’intero periodo di effettuazione delle operazioni di verifica svolte nei confronti dei consorzi U.P.E.A. e P.A.C.
Infine, è stato individuato un ulteriore sistema illecito utilizzato per cercare di lucrare indebitamente i contributi pubblici, pari in totale a due milioni e mezzo di euro. Nel dettaglio, tra la documentazione prodotta per certificare alcune spese poi rimborsate con i finanziamenti europei sono stati rinvenuti numerosi assegni bancari, che invece gli
investigatori ritengono abilmente falsificati.
Questa analitica ricostruzione della Finanza è stata resa possibile grazie all’analisi incrociata tra la documentazione esibita presso gli uffici competenti per ottenere i contributi comunitari, attestante i pagamenti e l’insieme delle movimentazioni bancarie e contabili della società.
I militari del Nucleo di polizia tributaria hanno, complessivamente, denunciato alla Procura della Repubblica di Patti cinque persone in concorso, per le ipotesi di truffa aggravata ai danni dello Stato, reato che prevede la reclusione fino a sei anni e per le violazioni penali tributarie, per emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, segnalando anche la responsabilità amministrativa del consorzio Agridea.
Sulla base di questi elementi la Procura della Repubblica di Patti, ha chiesto e ottenuto dal G.I.P. del Tribunale di Patti, il sequestro preventivo per equivalente dei beni mobili e immobili di proprietà del consorzio Agridea e del suo rappresentante legale, G.S., residente a Capo d’Orlando, di anni 50, fino al controvalore dei contributi illegalmente percepiti, pari a circa un milione e novecentomila euro. La misura, eseguita dalle Fiamme Gialle nei giorni
scorsi, ha riguardato disponibilità bancarie, partecipazioni azionarie e automezzi.
Particolarmente importante, secondo l’inchiesta, la circostanza che le indagini hanno impedito che il consorzio indagato ottenesse un’ulteriore quota di finanziamento pari a seicentomila euro, in quanto l’intervento dei finanzieri ha consentito di bloccare i fondi per tempo, prima della loro erogazione.
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