Un fatturato di centinaia di migliaia di euro, 10mila a ogni falso matrimonio organizzato: tanto incassavano le bande criminali scoperte della Dda di Messina che organizzavano nozze fasulle per far avere i permessi di soggiorno a cittadini extracomunitari.
L’inchiesta che ha svelato la truffa ha portato a 16 arresti. I pagamenti avvenivano o attraverso i servizi di Money Transfer o cash. Due o 3mila euro andavano al finto sposo; somme inferiori per intermediari, testimoni di nozze ed interpreti. Uno degli indagati, raggiunto da mandato di arresto europeo, è stato localizzato in Germania, nella zona di Francoforte sul Meno.
Dopo la celebrazione del matrimonio, l’extracomunitario richiedeva il permesso di soggiorno alla Questura di Messina che lo chiamava per verificare la veridicità dell’unione coniugale. La banda interveniva anche istruendo i coniugi sulle risposte da fornire. Finanche l’acquisto delle fedi nuziali, comprate a un euro da negozi cinesi, era gestito dall’organizzazione criminale.
L’inchiesta e’ nata dall’analisi delle dichiarazioni rese ad alcuni pubblici ufficiali da una serie di cittadine italiane. La Finanza ha, poi, accertato strane coincidenze in alcuni matrimoni tra persone di diversa nazionalità.
Stessi testimoni, stesse parentele tra testimoni e sposi. E’ sorto cosi’ il sospetto che ci fosse una associazione
a delinquere che organizzava false nozze. Le Fiamme Gialle hanno scoperto due organizzazioni criminali, da tempo attive a Messina e con ramificazioni in Marocco, che facevano capo a due cittadini marocchini.
Erano loro che si occupavano di organizzare i viaggi in Marocco dei finti sposi, di assisterli durante il disbrigo di tutte le pratiche burocratiche: dalle pubblicazioni al rito, sino alla fase finale quando, raggiunto lo scopo, si procedeva alla separazione ed al divorzio.
I due ‘wedding planner’ internazionali, pero’, non operavano da soli, potendo contare su una strutturata organizzazione, articolata su più livelli: un primo, costituito da fidati collaboratori, tutti marocchini, incaricati di reclutare i falsi sposi, di curare l’adempimento delle procedure burocratiche relative alla preparazione del matrimonio e alle successive fasi necessarie a ottenere la documentazione per i cittadini extracomunitari.
La banda era aiutata da due complici in Marocco che procuravano i documenti necessari alla celebrazione dei
matrimoni presso il Consolato generale d’Italia a Casablanca.
Dalle intercettazioni e’ venuto fuori che gli indagati, al telefono, per non farsi comprendere definivano le donne italiane ‘pecore’ . ‘C’e’ un signore che mi ha chiesto se c’e’ qualche pecora…un signore qui a Messina, c’e’ un suo amico che vuole venire…’, dicevano.
Un secondo livello era composto da testimoni di nozze e interpreti; il terzo livello, infine, era rappresentato da una fitta rete di soggetti italiani, principalmente donne, in condizioni disagiate che venivano coinvolte, prima, per le nozze, poi per reclutare altri migranti interessati ai falsi matrimoni.
‘…Perche’ il lupo quando ha fame esce dalla tana…’, diceva un indagato per sollecitare l’accettazione del matrimonio fittizio rivolgendosi ad una donna che mostrava segni di ripensamento.
Prima di giungere alla stipula del contratto gli organizzatori adottavano ogni possibile cautela per provare la falsa convivenza dei novelli sposi: di qui la necessita’ di individuare una casa da adibire ad abitazione coniugale, in mondo che entrambi i coniugi vi trasferissero la residenza.
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