La Corte di Appello di Messina ha deciso 26 condanne, alcune con riduzione di pena e tre assoluzioni nel processo scaturito dall’operazione Gotha 7, dove era emerso il ruolo della famiglia mafiosa di Barcellona nel compiere estorsioni a commercianti e imprenditori.

Sono stati condannati Mariano Foti a 8 anni, Domenico Giuseppe Molino a 5 anni e 4 mesi, entrambi sono stati assolti da alcune accuse. Antonino Bellinvia a 2 anni, Santino Benvenga 9 anni, Tindaro Calabrese 2 anni e 8 mesi, Salvatore Chiofalo 10 anni, Alessandro Crisafulli 2 anni e 8 mesi, Antonino D’Amico 8 anni, Francesco Foti 6 anni, Massimo Giardina 8 anni e 4 mesi, Ottavio Imbesi 2 anni e 4 mesi, Carmelo Francesco Messina 5 anni, Massimiliano Munafò 3 anni, Salvatore Santangelo 4 anni, Carmelo Tindaro Scordino 5 anni, Tindaro Santo Scordino 2 anni, Sergio Spada 5 anni, Antonio Giuseppe Treccarichi 2 anni, Carmelo Salvatore Trifirò 2 anni e 8 mesi. Conferma per gli altri. La Corte d’Appello ha invece assolto Antonino De Luca Cardillo, Carmela Milone, Antonino

L’operazione Gotha 7 dei carabinieri e della polizia scattò nel gennaio 2018 con 40 arresti. Le indagini misero in luce una mafia tradizionale, “ortodossa”, capace di riorganizzarsi nonostante da un decennio sia costantemente colpita dall’azione degli investigatori. In tutto le misure cautelari eseguite furono 40: i carabinieri hanno arrestato 29 persone mentre la polizia ha arrestato 11 persone.

L’indagine, coordinata dalla Dda, nacque dalle attività investigative dei carabinieri della Compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto, della sezione anticrimine di Messina, della Squadra Mobile e del commissariato di Barcellona che presero il via dalle dichiarazioni del pentito Carmelo D’Amico, capomafia arrestato nel 2009, e dei collaboratori di giustizia Salvatore Campisi, Franco Munafò e Alessio Alesci. L’inchiesta, ha colpito i presunti vertici e affiliati della fazione più ortodossa e militarmente organizzata della criminalità mafiosa della provincia peloritana ed ha svelato i rapporti del clan messinese con esponenti di Cosa nostra palermitana e catanese. Accertati anche i tentativi di acquisire la gestione e il controllo di attività economiche e appalti pubblici e la presenza di un arsenale di armi micidiali, necessarie al clan per affermare il controllo criminale nell’area.