Le profonde acque del Tirreno lo hanno nascosto per 77 anni, a sud di Stromboli, dove era stato silurato nell’aprile del 1942 in piena II Guerra Mondiale portando alla morte – in uno degli naufragi più drammatici della storia militare italiana – buona parte dei 507 marinai a bordo, vinti dalle ferite, dallo choc, dall’acqua gelida che si era tinta di nero per le tonnellate di nafta fuoriuscita dai serbatoi.

L’incrociatore leggero Giovanni Delle Bande Nere, o quanto ne resta dopo tanti decenni, è stato ritrovato dal cacciamine Vieste a una profondità compresa tra i 1460 e i 1730 metri: un’identificazione avvenuta grazie ai sofisticati veicoli subacquei che il mezzo della Marina Militare ha in dotazione. A colpire il Giovanni dalla Bande Nere e a fare scempio del suo equipaggio era stato il sommergibile britannico Urge, “serial killer” della navi italiane nel Mediterraneo: aveva già affondato la petroliera Franco Martelli, danneggiato la nave passeggeri Aquitania e il mercantile Marigola e silurato anche la corazzata Vittorio Veneto. “Non sono mai sceso dal Giovanni dalle Bande Nere, io mi sono salvato ma il mio destino e il mio cuore sono ancora lì, con tutti i miei compagni che sono morti quel primo aprile del 1942”, raccontava uno dei pochi superstiti, Gino Fabbri, fuochista ausiliario che all’epoca aveva 20 anni.

Una storia che segnò tutta la sua vita fino alla morte avvenuta nel 1966 a soli 44 anni: a riportare la sua testimonianza i suoi tre figli Mirella, Bruno e Aurelio Fabbri. Il fuochista fu salvato e ricoverato all’ospedale di Messina dopo molte ore di permanenza in mare, ricoperto di nafta e petrolio su tutto il corpo. “Papà – spiega la figlia – raccontava dell’esplosione, della luce che si spegneva, di come aveva aiutato un altro fuochista a mettere in mare la zattera, subito occupata da numerose persone, mentre lui era rimasto in acqua con altri. E il suo più grande rimpianto era di non essere riuscito a salvare i compagni, in particolare quattro che aveva visto sparire tra le onde. Lui, poi, allo stremo delle forze, era riuscito a nuotare fino alla torpediniera Libra dove fu issato a bordo con una cima”. Il 28 marzo 1942 – come si legge in un Bollettino d’archivio dell’Ufficio storico della Marina militare – era stato trasmesso l’ordine di trasferimento del Giovanni delle Bande Nere da Messina alla Spezia, con transito da Stromboli. La scorta doveva essere effettuata dall’Aviere, dal Fuciliere e poi dal Diana, con copertura aerea durante le ore diurne.

La mattina dell’ 1 aprile, a 8 miglia a sud-est di Stromboli, furono avvistate scie di siluri. L’incrociatore fu colpito al centro da una torpedine lanciata da brevissima distanza dall’Urge, che si trovava nello spazio compreso fra l’Aviere e il Bande Nere; il secondo siluro divise la nave in due tronconi. L’abbandono fu eseguito ordinatamente ma in meno di due minuti dall’impatto del primo siluro l’incrociatore era scomparso. Le perdite – sempre secondo il Bollettino della Marina – furono di 373 uomini, di cui 16 ufficiali, 57 sottufficiali, 295 sottocapi e comuni e 5 militarizzati.