- La rete è stata trovata e recuperata a 36 metri di profondità
- Il recupero dei carabinieri di Milazzo e del nucleo Sommozzatori di Messina
- Operazione che ha prevenuto possibili danni per la fauna marina
I carabinieri della compagnia di Milazzo e del nucleo Subacquei di Messina hanno recuperato ieri una rete “fantasma”, lunga circa 200 metri, collocata a 36 metri di profondità, pericolosa per la fauna marina locale.
Nell’ambito dei servizi volti alla tutela ambientale del territorio, i militari della Motovedetta CC 814 Monteleone ed i carabinieri sommozzatori hanno individuato la rete, verosimilmente persa accidentalmente da ignoti, rimasta incagliata sul fondale, provvedendo alla rimozione in sicurezza, mediante l’uso di palloni da sollevamento.
La minaccia delle reti “fantasma”
Le reti “fantasma”, ossia disperse, sono una grave minaccia all’ecosistema marino poiché uccidono indiscriminatamente pesci, mammiferi, tartarughe, grandi cetacei, uccelli ed inquinano i mari.
La rete recuperata è un rifiuto speciale e sarà consegnata ad un’azienda per il successivo riciclo ed eventuale riutilizzo delle materie prime.
Squalo capopiatto salvato dalle reti
A riprova della pericolosità per la fauna marina (e non solo) l’episodio del mese scorso quando nel mare delle Eolie è stato rinvenuto e salvato un piccolo squalo capopiatto che era finito “intrappolato” in una rete da pesca. Lo ha liberato un pescatore isolano.
“Questo squalo capopiatto, Hexanchus griseus – spiega Monica Blasi, biologa romana in servizio a Filicudi dove gestisce un ‘mini ospedale per delfini e tartarughe’ – è rimasto intrappolato in una rete da posta del tipo tramaglio, ma grazie alla campagna informativa e alle azioni di conservazione che abbiamo attivato con i pescatori artigianali delle isole Eolie nell’ambito del progetto ‘LifeDelfi’ è stato prontamente liberato, fortunatamente vivo, e rilasciato in mare. Grazie al pescatore rispettoso e sensibile”.
Recuperate reti fantasma anche a Cefalù
Operazione di recupero delle reti fantasma anche in altre zone della Sicilia. A fine agosto si è concluso il recupero coordinato dalla guardia costiera dal peso totale di circa una tonnellata, che giacevano sui fondali antistanti la costa di Cefalù, in prossimità della “Secca dei Campanari”, ad una profondità compresa fra i 19 e 27 metri. Pare che, sulla scorta delle testimonianza dei pescatori che lavorano in zona, quelle reti si trovassero abbandonate sui fondali da almeno un decennio.
L’operazione ambientale appena conclusa rientra nell’ambito del progetto nazionale “reti fantasma”, coordinato dal comando generale delle capitanerie di porto, finalizzato al recupero delle reti da pesca abbandonate, talvolta accidentalmente, sul fondo del mare, in aree di particolare pregio ambientale. L’abbandono di tali attrezzi da pesca, purtroppo, incide negativamente sull’ecosistema marino, rappresentando un rischio per la sopravvivenza della flora e della fauna marina nonché per la sicurezza dei subacquei.
Reti fatte di fibre plastiche
Le reti, costituite quasi esclusivamente da fibre di plastica, abbandonate sui fondali, rappresentano una trappola mortale per i pesci di che vi rimangono impigliati; si calcola che annualmente nei mari vengono abbandonate oltre 600.000 tonnellate di tali attrezzi. La presenza di reti fantasma, così chiamate per il danno invisibile che provocano, in particolar modo nel Mediterraneo, comporta, la perdita di almeno il 5% della popolazione ittica, oltre alla dispersione di microplastiche e tessuti non biodegradabili, con enormi danni sia per l’ecosistema marino sia, di riflesso, per l’uomo.
Un impatto ambientale terribile
Secondo i rapporti Unep e Fao, le reti da pesca abbandonate nei mari di tutto il mondo rappresentano circa il 10% dei rifiuti di plastica. Le operazioni di recupero, andate avanti per tre giorni, sotto il coordinamento tecnico del 3° nucleo sommozzatori guardia costiera, con la costante presenza dei mezzi navali della direzione marittima di Palermo, sono state effettuate da squadre di sub esperti, tra i quali alcuni ricercatori del centro oceanografico di Valencia, guidati da Andrea Spinelli, al fine di fornire dati scientifici circa l’impatto ambientale provocato da tali reti sui fondali.
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