Trentasei lavoratori su quaranta non in regola in una Rsa nel messinese. Con questa accusa la Guardia di Finanza ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale, nei confronti di sette persone (cinque ai domiciliari e due con obbligo di presentazione alla pg), e sequestrato beni per un valore di oltre 180 mila euro e l’applicazione del “controllo giudiziario” nei confronti di due società, per i reati di associazione a delinquere, estorsione e intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

36 lavoratori in nero su 40

In piena pandemia le Fiamme Gialle di Taormina avevano eseguito un intervento in materia di sommerso da lavoro presso una RSA della provincia, riscontrando come il titolare si fosse avvalso, per l’assistenza degli anziani ricoverati, negli anni dal 2016 al 2020, di ben 36 lavoratori “in nero”, a fronte di una forza lavoro complessiva impiegata di 40 dipendenti. Di qui le successive indagini, coordinate dalla Procura di Messina, consistite in ricostruzioni documentali, intercettazioni telefoniche e accertamenti bancari, dalle quali è emerso come il dominus della rsa, al fine di ottenere indebiti risparmi in termini di versamento di contributi e oneri previdenziali, avesse abusivamente impiegato, completamente e/o parzialmente, i lavoratori, senza effettuare la prescritta comunicazione al Centro per l’Impiego.

Niente riposo e niente socializzazione

È emerso come il titolare delle strutture assistenziali giungesse, addirittura, a impedire la fruizione di qualsiasi forma di riposo o ristoro durante l’orario di lavoro, nonché di socializzare tra loro, arrivando persino a vietare lo scambio reciproco dei numeri di telefono. Di non minore rilevanza, poi, la circostanza come i medesimi lavoratori effettuassero, singolarmente, il turno notturno, pari a dodici ore, durante il quale, oltre ad accudire gli anziani, avrebbero anche dovuto svolgere altre incombenze, quali il lavaggio e la stiratura delle telerie.

Stipendi di 700 euro per 45 ore

E’ stato anche ricostruito che, a fronte della previsione dei contratti di lavoro collettivo che, “per i dipendenti dalle cooperative, consorzi e società consortili del settore socio-sanitario-assistenziale-educativo e d’inserimento lavorativo”, prevedono una paga base che va, a seconda del livello d’inquadramento, da € 1.184,19 a € 1.426,41, per un orario di lavoro pari a 38 ore settimanali, i lavoratori della RSA ispezionata percepissero solo circa 700 euro, indipendentemente dalle mansioni svolte e dalle ore lavorate, peraltro pari, in media, a 45 ore settimanali.

La strategia per risparmiare

Le indagini hanno consentito di documentare come, al fine di giungere contabilmente all’importo di 700 euro, il gruppo tra imprenditori e consulenti oggi tratto in arresto predisponesse specifici prospetti paga che per un verso, solo formalmente, certificavano l’esecuzione di prestazioni lavorative in linea con la tipologia di contratti di lavoro stipulati con i dipendenti, attestanti la corresponsione di tutte le categorie d’indennità spettanti, al solo scopo di dare una parvenza di legalità in termini di diritti sindacali concessi e, così, evitare eventuali successivi controlli; d’altro canto, invece, riportassero anche l’inserimento, tra le voci stipendiali, di giorni e ore di assenza dal lavoro che, di fatto, non risultavano fruite dai dipendenti, tale che i determinava una significativa riduzione delle spettanze stipendiali, in palmare danno dei medesimi lavoratori. Un illecito importo fin dalla prima fase del colloquio per l’assunzione.