Dopo neanche due anni dal suo insediamento Bernardo “Dino” Petralia lascia l’incarico di capo del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria italiana. L’ex magistrato ed ex procuratore della corte di appello di Reggio Calabria, ha deciso di dimettersi per ragioni familiari. Ha scelto la strada del pensionamento. Petralia, siciliano di 69 anni, fu nominato nel maggio del 2020 a seguito delle dimissioni di Francesco Basentini, successivamente alle rivolte del marzo 2020 e alle polemiche conseguenti alle scarcerazioni durante la prima ondata del covid19.

“La famiglia ha bisogno di me”

Petralia ha rilasciato alcune dichiarazioni all’Ansa spiegando le ragioni della sua decisione: “Sono nonno, quattro mesi fa mi è nata una nipotina, ho 69 anni, è il momento di rientrare in famiglia, sento che ha bisogno di me”. “Un affettuoso ringraziamento – sono le parole del ministro della Giustizia Marta Cartabia – per la collaborazione sempre assicurata in questi mesi. Comprendo bene le esigenze personali e familiari, che lo hanno indotto ad assumere questa decisione”.

La carriera di Petralia

Parliamo di una illustre toga antimafia al Csm che è arrivato fino ai vertici della magistratura, prima da Procuratore aggiunto di Palermo e poi da Procuratore generale di Reggio Calabria. Ha iniziato la sua carriera in magistratura a Trapani, dove risiede con la sua famiglia. La moglie, Alessandra Camassa, è la presidente del tribunale di Marsala. Dopo avere lasciato Trapani, Petralia è diventato giudice istruttore a Sciacca, da dove ha iniziato ad occuparsi di mafia. Nel 2006 viene eletto al Consiglio superiore della magistratura. Nel 2010, terminato il periodo al Csm, torna a fare il pm a Marsala e nel 2013 approda a Palermo come Procuratore aggiunto. Qui coordina numerose inchiesta su mafia e corruzione.

Le preoccupazioni dei sindacati

“Queste dimissioni – commenta Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria – costituiscono indubbiamente ulteriore motivo di destabilizzazione per le carceri e per tutto il sistema d’esecuzione penale. A Petralia va riconosciuto il merito di aver rappresentato un punto di riferimento in un momento drammatico per tutto il Paese e di aver contribuito, probabilmente in maniera decisiva, a fare in modo che l’apparato del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, da cui si è poi dimesso – è bene ricordarlo – anche il Direttore generale dei detenuti (anche lui magistrato), Giulio Romano, non naufragasse in maniera irreversibile”.

 

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