L’abuso d’ufficio, un tema entrato nel dibattito politico, è un reato sottovalutato e va quindi meglio definito. Se è il caso anche abbreviando i tempi del giudizio. Lo sostiene, nella relazione per l’apertura dell’anno giudiziario, il presidente della Corte d’appello di Palermo, Matteo Frasca. “La inadeguata consapevolezza della grave incidenza dei fenomeni corruttivi nel più ampio quadro dell’attività delle organizzazioni mafiose – scrive – emerge anche dalla sottovalutazione della rilevanza del delitto di abuso d’ufficio. Reato oggetto di plurimi interventi modificativi che lo hanno relegato ai margini della illiceità penale come reato di fatto a consumazione impossibile. Fenomeno che ha costituito spesso spia di reati più gravi contro la pubblica amministrazione”.

Proprio per effetto della riscrittura della norma, secondo Frasca, “i processi per abuso d’ufficio sono rarissimi”. E quasi mai si concludono con una condanna: al 31 dicembre 2022 nella Corte di appello di Palermo erano pendenti appena 26 processi, pari allo 0,3% della pendenza complessiva. Quindi l’abuso d’ufficio resta un fattore su cui puntare l’attenzione.

La “paura della firma”

Tuttavia si fanno sempre più insistenti, sottolinea il magistrato, le sollecitazioni a diversi livelli per l’abrogazione dell’articolo 323 del codice penale, recepite dal ministro. Parliamo della cosiddetta “paura della firma” da parte dei dipendenti della pubblica amministrazione, che costituirebbe un fattore di paralisi dell’attività amministrativa. Frasca replica sostenendo che gli effetti deleteri sulla reputazione degli indagati sono in gran parte riconducibili alla lunghezza dei tempi processuali. Mentre la “paura del fare” sembra essere “correlata in modo preponderante alla complessità della normativa primaria e secondaria che ne regola l’attività. Invece, richiederebbe regole chiare, procedure snelle, indicazioni precise”.

Le intercettazioni ai mafiosi

Contro i mafiosi occorrono intercettazioni più efficaci. C’è una replica critica al ministro Carlo Nordio nella relazione del presidente della Corte d’appello di Palermo. Il magistrato ribalta la frase del ministro: “I mafiosi non parlano al telefono”. E risponde: “Questo può essere vero solo con riferimento alle tradizionali forme di comunicazione telefonica. Peraltro neanche in modo assoluto come dimostrato da alcune vicende processuali. Ma i criminali ricorrono a modalità sempre più sofisticate di comunicazione. Significa che è indispensabile fare ricorso alla tecnologia, la cui inevitabile invasività è bilanciata dai rigorosi limiti di ammissibilità di ricorso alle intercettazioni. Ma anche dalle cautele imposte in diversi momenti dalla normativa vigente che probabilmente costituisce il punto di equilibrio più avanzato tra efficienza e garanzia”.

Arresto Messina Denaro apre nuovi scenari

Un capitolo è stato aperto anche sull’arresto di Matteo Messina Denaro. Sul significato della cattura dell’ultimo grande latitante di Cosa nostra e sui prossimi indirizzi investigativi interviene il presidente della Corte d’appello di Palermo, Matteo Frasca, nella relazione per l’apertura dell’anno giudiziario. Il testo è stato pubblicato nel sito web della Corte. Come è già accaduto con altre figure del vertice mafioso, la fine della latitanza del boss costituisce senza dubbio, secondo Frasca, “un momento di grande importanza. “Sia perché probabilmente completa la lunga e difficile operazione di smantellamento della componente stragista dell’organizzazione. Sia perché apre prospettive investigative potenzialmente straordinarie che l’azione corale delle istituzioni potrà valorizzare in direzione di ambiti diversi da quelli strettamente connessi con il latitante”.

No ai facili trionfalismi

“Scaldano il cuore – si legge  nel documento – le manifestazioni di giubilo di quei cittadini che hanno espresso soddisfazione e apprezzamento per l’operato dei carabinieri. Così come fanno ben sperare le iniziative, soprattutto di giovani e di bambini che hanno esternato pubblicamente e gioiosamente la netta presa di distanza da Cosa nostra. Loro ripongono consapevole speranza che anche queste operazioni contribuiscano ad arrivare alla verità sui misteri ancora non risolti di questo Paese”. “Raggiungere la verità – aggiunge Frasca – è un diritto dei familiari delle vittime e della comunità ed è un dovere delle Istituzioni. Peraltro, è triste constatare che, accanto a queste manifestazioni che richiamano il ‘fresco profumo di libertà’ di cui parlava Paolo Borsellino, persistano ancora sacche più o meno ampie di indifferenza e disinteresse. Se non quando di dissenso, che impongono di non indulgere a facili e pericolosi trionfalismi”.

“La inquietante rete di protezione a diversi livelli di cui ha beneficiato il latitante, senza la quale non avrebbe potuto sottrarsi per così lungo tempo alla cattura, pone – avverte Frasca – seri interrogativi. Apre scenari per certi versi inesplorati sul grado di penetrazione di Cosa nostra nel tessuto sociale e istituzionale”.

Niente arretramenti su leggi antimafia

La legislazione antimafia italiana è un modello anche per altri paesi e consente di promuovere una lotta efficace a Cosa nostra. Nella relazione c’è una difesa molto convinta  di quelle norme antimafia frutto “dell’impegno e del sacrificio, anche estremo, di tanti esponenti delle istituzioni”. Hanno consentito di “raggiungere risultati di grande rilievo” il complesso delle leggi. “Va quindi mantenuto in tutta la sua consistenza e in ogni sua componente, senza arretramenti di sorta e ancor meno senza indulgere alla pericolosa e miope convinzione di essere al traguardo”. Frasca ricorre ai toni dell’appello quando ricorda che la legislazione antimafia italiana è all’avanguardia nel contesto europeo. Anche per questo, dice, “l’Italia deve avere l’orgoglio e la forza di essere trainante per altri Stati che si rivolgono a noi con ammirazione e interesse”.

Esperienza da esportare

Per il presidente bisogna consolidare ed esportare oltre confine le risalenti acquisizioni normative in materia di contrasto alla mafia. “Deve essere un impegno irrinunciabile, nella consapevolezza che anche la criminalità organizzata ha varcato i confini degli Stati e si muove a livello tentacolare cercando di sfruttare contesti territoriali extranazionali meno attrezzati del nostro”.

La strada è ancora “molto lunga e impervia e soprattutto non può basarsi solo sulla repressione”, sostiene il presidente Frasca. Su quella “distaccata opera di repressione”, che Paolo Borsellino riteneva insufficiente. Per questo è importante, se non decisiva, la “rimozione delle condizioni sociali ed economiche sulle quali prospera la criminalità organizzata di tipo mafioso”. Secondo il presidente a questo processo di liberazione e di crescita democratica devono concorrere la comunità e tutte le istituzioni “con un’azione corale e sinergica”. Richiamando i moniti del presidente Sergio Mattarella (“La Costituzione nostra bussola”), Frasca sostiene che alla magistratura compete non solo l’accertamento dei reati. Ma anche la garanzia della “effettività dei diritti, iniziando da quelli sociali che trovano riconoscimento innanzitutto nella Costituzione”.

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