E’ morto a 104 anni Salvatore Russo, il “partigiano” di Riesi, una delle ultime voci dei tanti militari italiani che dopo l’armistizio di Cassibile (3 settembre 1943) furono arrestati e deportati in Germania. Aviere dell’esercito e presidente onorario dell’Anpi di Riesi, Russo venne catturato dai tedeschi in Albania. Dopo Cassibile, con l’esercito italiano allo sbando, a Salvatore Russo e agli altri soldati italiani venne chiesto di combattere al fianco delle truppe tedesche. Russo ed altri 600mila militari si rifiutarono dicendo no con coraggio al nazifascismo.

“Badoglio firmò l’armistizio incondizionato, noi in aeroporto eravamo in forze maggiori dei tedeschi ma il generale, un fascista, non ci diede indicazioni”, ricordava l’ex aviere.

.Il 28 gennaio 2017 Russo è stato insignito della medaglia d’onore del Consiglio dei Ministri come deportato Imi dal prefetto di Caltanissetta, Maria Teresa Cucinotta. La sua storia è stata pubblicata all’interno del manoscritto Resistenti, storie di antifascisti, partigiani e deportati di Riesi.

Poco più d’un anno fa, Russo aveva raccontato la sua storia ai nostri microfoni: “Mi chiamavano 20 80 52. Una volta arrivati nel campo di concentramento c’era un tedesco che ci guardava di notte e di giorno. Ogni soldato tedesco doveva bastonare un italiano una volta al giorno”.

“Tra noi c’era un appuntato dei carabinieri, che aveva delle sigarette. Si mise d’accordo con un soldato tedesco. Quest’ultimo gli portò del pane e lui gli diede le sigarette. Povero uomo, non fumava più. Un altro tedesco che vide la scena, andò e gli chiese cosa avesse (impossibile nascondere un pane da un chilo e mezzo). Quel soldato prese il pane ed iniziò a sbatterglielo in faccia”.

“Mi trovai ad un metro e mezzo da una bomba”

Il racconto di Salvatore Russo continua con ulteriori particolari: “Dormivamo in un letto di legno a castello. Il materasso era fatto con la segatura del legno. Non avevamo né lenzuola, né niente. C’era solo una coperta che serviva per tutto. Ogni due, tre sere, venivano a bombardare. Una volta mi trovai distante 1 metro e mezzo da una bomba. Al punto che il cappotto che avevo si strappò, venne portato via dall’impatto. Se fossi stato un po’ più vicino… a quest’ora… Sarei riuscito a salvarmi? Quando c’è di mezzo il destino”.

“I tedeschi ci bastonarono”

I ricordi sono indelebili anche se fanno male. Sicuramente più dei tanti pericoli corsi e delle violenze quotidiane subite dai tedeschi. “Scoprimmo un posto che era come una stazione – prosegue nel suo racconto – c’era un magazzino pieno di patate in mezzo alla paglia. Sono riuscirci a trovare in mezzo a quelle patate e ci misero con la pancia sopra uno sgabello, la testa bloccata con le ginocchia. Quei tedeschi, disgraziati, ci bastonarono tutti e tre. Tanti guai”.

“Non dimenticate il nostro sacrificio”

Nonno Russo concluse l’intervista ad Antonio Turco con un appello a tutti: “Per favore, non dimenticate il nostro sacrificio per la vostra libertà”.

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