Il caso sull’omicidio di Matteo Tresa, il giovane di 37 anni che martedì è entrato per rapinare il negozio di un commerciante del Bangladesh in via Maqueda è tutt’altro che chiuso.

Ad iniziare dai due bengalesi che avrebbero commesso l’omicidio che dopo che sono stati messi ai domiciliari questa mattina potrebbero tornare in libertà.

La Procura ha chiesto la loro scarcerazione. Le indagini della squadra mobile proseguono per accertare come sia morto Matteo Tresa, deceduto dopo una colluttazione avvenuta tra lui, un dipendente dell’attività e una terza persona.

Oggi si terrà l’udienza davanti al gip che per la convalida dell’arresto per Humayun Kabir, 44 anni e Abdul Matin, 40 anni.

Ancora non è chiaro se la morte sia stata provocata dalle percosse o da un infarto.

Sono le 2 della notte tra lunedì e martedì quando Tresa entra nel minimarket e minaccia l’impiegato per una rapina.

Dentro il negozio nasce una rissa. Il cassiere bengalese e un suo connazionale reagiscono all’irruzione e si scagliano sul 37enne riuscendo ad avere la meglio.

“Kabir lo avrebbe immobilizzato a terra – ha ricostruito la poliza – tenendolo stretto per il torace e con la faccia rivolta a terra e il complice lo avrebbe percosso, continuando ad infierire. La vittima avrebbe tentato di resistere alla presa, scalciando fin quando non avrebbe più dato segni di vita”.

A chiamare il 113 denunciando l’accaduto è stato lo stesso cassiere che ha atteso insieme all’altro bengalese l’intervento delle volanti.

Appena entrati gli agenti avrebbero subito notato Tresa disteso sul pavimento e ormai esanime. I primi ad essere ascoltati nel cuore della notte sono stati i due cittadini del Bangladesh, il cui racconto è stato incrociato con quanto emerso dalle riprese di alcune telecamere di videosorveglianza. Al termine degli accertamenti della Scientifica il minimarket è stato messo sotto sequestro, mentre Kabir e Matin sono stati arrestati con l’accusa di omicidio e portati in carcere. Sotto sequestro anche il bastone impugnato dai due bengalesi per colpire il rapinatore.

I bengalesi hanno  respinto ogni accusa sostenendo davanti al procuratore aggiunto Ennio Petrigni e al sostituto Giacomo Brandini di essersi difesi dal violento e improvviso attacco di Tresa.

Quanto dichiarato durante gli interrogatori sarebbe stato confermato dalle immagini delle telecamere che mostrano una colluttazione durata qualche minuto. Per i magistrati potrebbe configurarsi quindi la legittima difesa, anche se ad ora non vengono contestati l’eccesso colposo né l’omicidio preterintenzionale. L’ultima richiesta da sottoporre al giudice prevede la convalida dell’arresto senza l’applicazione di alcuna misura cautelare.

La prima ispezione del cadavere da parte del medico legale la polizia aveva portato gli investigatori a credere che la vittima fosse un cittadino extracomunitario. Addosso non aveva alcun documento. Il corpo di Tresa, palermitano residente nella zona di Ballarò, è stato quindi portato all’istituto di medicina legale per l’autopsia. I primi dati emersi dall’esame aprirebbero uno spiraglio all’ipotesi che il 37enne non sia morto a causa delle percosse ma per un infarto.

Una circostanza che potrebbe indurre il gip a valutare l’accaduto secondo un’altra prospettiva. In caso di accoglimento della richiesta avanzata dalla Procura i due bengalesi torneranno subito in libertà.