Confcommercio Sicilia chiede al presidente della Regione Nello Musumeci di abrogare l’articolo 7 dell’ordinanza n. 51 del 24 ottobre con cui viene disposta la chiusura obbligatoria di tutte le attività commerciali oltre le 14 della domenica.

La richiesta urgente, inoltrata con una nota ufficiale, punta alla riapertura immediata dei negozi la domenica pomeriggio, a partire da dopodomani 8 novembre.

“Tenuto conto che il Dpcm, per le regioni “arancioni”, impone la chiusura nei giorni prefestivi e festivi per le attività poste all’interno dei centri commerciali, riteniamo inderogabile – è scritto nella nota – ristabilire l’apertura delle attività la domenica pomeriggio”.

“La mancata abrogazione di tale divieto regionale, alla luce delle gravose restrizioni imposte dall’ultimo Dpcm inasprirebbe ulteriormente una condizione economica già fortemente compromessa, a discapito di tutte quelle attività che formalmente non sono state sospese dalla normativa nazionale”.

Una richiesta che si aggiunge a quelle fatte dalle altre associazioni datoriali.

“La carenza di liquidità delle imprese è un virus rischioso per la società tanto quanto il Covid. serve che l’Esecutivo Musumeci acceleri sugli interventi da compiere sul sistema sanitario siciliano e sull’assegnazione dei sostegni già annunciati e messi a bando: 125 milioni di euro dall’assessorato Attività Produttive e 75 milioni per il settore Turismo”. Così il presidente di Confesercenti Sicilia Vittorio Messina torna sul semi lockdown in vigore da oggi sull’Isola, classificata come zona arancione.

“Bene fa il governo regionale a riaprire il confronto con Roma per riportare l’Isola tra le regioni in zona gialla – dice Messina – ma nel frattempo serve che l’Esecutivo Musumeci acceleri sugli interventi da compiere sul sistema sanitario siciliano e sull’assegnazione dei sostegni già annunciati e messi a bando: 125 milioni di euro dall’assessorato Attività Produttive e 75 milioni per il settore Turismo. La velocità di intervento è fondamentale in questo momento per i cittadini come per le imprese. Non c’è un prima e un dopo ma un’azione che deve essere contemporanea sui fronti della salute e delle aziende, se non vogliamo rischiare la peggiore crisi economica e sociale dal dopoguerra a oggi”.