• La battaglia di una famiglia palermitana contro il Covid19
  • Per Giusina, la madre Carmela e la figlia Zaira, l’incubo è durato 36 giorni
  • L’appello sull’importanza della vaccinazione

Una malattia terribile che sconvolge la quotidianità. Un mostro che fa tanta paura e che troppe persone ha già ucciso. Prosegue nel mondo la lotta contro la pandemia.
Per fortuna c’è chi la battaglia contro il Covid19 l’ha vinta e ha deciso di raccontare la sua esperienza affinché possa essere di aiuto a qualcun altro.
Oggi condividiamo con voi la storia di una famiglia di Palermo, che ha dovuto fronteggiare per 36 giorni un nemico che talvolta appare invincibile. Vi raccontiamo la storia di Giusina Perna, della madre Carmela De Cofano e della figlia Zaira La Rosa, tutte e tre contagiate dal Covid19 ma adesso guarite.

 

L’inizio dell’incubo e la sensazione di abbandono

Le tre donne vivono insieme. L’incubo per la famiglia inizia il 18 marzo scorso sera, quando Giusina, 48 anni, affetta dal morbo di Crohn, si rende conto di avere la febbre. All’inizio pensa che avere la temperatura un po’ più alta sia normale, dipende dalla sua patologia, ma al risveglio, il giorno dopo, la febbre è salita ancora, arrivando a 37,8.
Si sottopone così al tampone in un laboratorio di analisi dove le dicono che le faranno sapere a breve l’esito dell’esame, per mail se negativo, tramite telefono se positivo. Passano appena 20 minuti e Giusina riceve la telefonata del laboratorio, le confermano la sua positività. Le crolla il mondo addosso. La paura, il dispiacere, il dubbio di aver potuto contagiare qualcuno involontariamente prendono il sopravvento. Nel frattempo anche Carmela, 67 anni, che sino ad allora aveva creduto di essere semplicemente raffreddata, sta male, ma resta a casa in attesa di sottoporsi al tampone. Giusina contatta il suo medico di famiglia, che le dice di iniziare subito una cura a base di antibiotico, cortisone e tachipirina. Le dice anche che non può al momento ‘denunciare’ il suo caso all’Usca perché lo studio medico ha già chiuso e non ha il pc a casa. E’ un venerdì sera e Giusina dovrà attendere sino a lunedì. La pervade il senso di abbandono. Il mercoledì viene contattata dall’Usca. “Da un numero anonimo – dice Giusina – e questo secondo me è sbagliato perché se per caso dovessi avere io bisogno di chiamarli non c’è modo di farlo”. Al telefono le fanno delle domande, Giusina fa presente che a casa con lei c’è la madre che sta sempre peggio. Le viene detto che non è possibile visitare Carmela in tempi brevi, e che se dovesse stare ancora male, Giusina avrebbe dovuto chiamare il medico curante o il 118.

Intanto la figlia Zaira, si sottopone al tampone alla Fiera del Mediterraneo, risultando negativa. Le tre donne decidono che è meglio che Zaira, 30 anni, si allontani da casa, e la ragazza si trasferisce con il suo cane nell’appartamento al momento vuoto di un parente che si trova fuori città.
Il 23 marzo viene fissato un appuntamento per il test molecolare a domicilio ed una visita medica ma Carmela, che è un soggetto fragile a causa di una patologia pregressa, continua ad accusare febbre, dolori, vomito, diarrea e stanchezza. Sintomi che ha anche Giusina. “Su suggerimento di mia zia – racconta Giusina – chiamo il suo medico curante, che fa anche parte dell’Usca, spiego cosa sta accadendo e interviene chiamando i suoi colleghi, che dopo due giorni arrivano a casa mia. Finalmente un medico visita la mamma, ha la saturazione bassa, provano a farla camminare per qualche minuto, suggeriscono di chiamare il 118 ma mia mamma si rifiuta”.
Dopo qualche ora Carmela si aggrava ulteriormente. Ha la pressione bassissima, è fredda, sudata, lo sguardo fisso e assente. Viene chiamato il 118. In ambulanza la sottopongono al tampone, è positiva anche lei. La portano al pronto soccorso dell’ospedale Cervello, nessuno può ovviamente starle accanto.
L’ennesimo tampone, la tac e i prelievi confermano che Carmela è affetta da una polmonite che interessa il 25 per cento dei polmoni. Dopo un giorno viene trasferita all’ospedale Civico, dove iniziano le cure intensive.
Contestualmente Zaira non sente più gli odori e i sapori, fa un secondo tampone, anche lei è positiva. Torna a casa da Giusina, per fare l’isolamento insieme, anche perché, nei giorni in cui era sola nel suo appartamento, Giusina ha avuto un grave malore. Una sera ha perso i sensi. “Mi sono ritrovata – racconta – a terra, non so come ero finita dalla camera da letto davanti l’ingresso di casa. Guardavo la porta chiusa a chiave e pensavo che nessuno poteva soccorrermi, nemmeno il 118”.

La permanenza in ospedale di Carmela

Giusina sta male ma riesce a curarsi a casa, confortata dalla figlia Zaira. Carmela trascorre in ospedale ben 26 giorni. “Sono andata via da casa spaventatissima – ricorda – però poi mi sono trovata a mio agio, perché dottori, infermieri e Oss, sono stati tutti gentili. Dopo 4 giorni dal mio ricovero mi hanno detto che avrebbero dovuto mettermi il casco (per la respirazione assistita, ndr), io non lo volevo e ho pianto. E allora la dottoressa e due infermiere si sono sedute sul mio letto, mi tenevano la mano, mi accarezzavano i capelli, mi hanno spiegato perché era necessario, hanno fatto in modo di convincermi. Ho dovuto stare con il casco 5 giorni, poi sono migliorata e mi hanno trasferita in un altro reparto, anche lì mi sono trovata benissimo. La mia saturazione migliorava giorno dopo giorno, sino alla guarigione completa. Il Covid è una brutta esperienza, però alla fine, ho superato tutto”.
Giusina non dimenticherà mai i lunghi giorni di paura che sono coincisi con il ricovero di Carmela.
“Giustamente nessuno poteva andare a trovarla – spiega -. Solo una volta al giorno era possibile chiamare l’ospedale, dalle 14.30 alle 15.30 ed i medici, tutti gentilissimi, ci davano informazioni. Prima che mia madre salisse a bordo dell’ambulanza, ero riuscita a metterle in tasca il telefonino e il caricabatterie, quindi, quando era in grado di parlare, riuscivamo bene o male a comunicare, però la lontananza e la consapevolezza del fatto che lei stava molto male, sono state terribili. Ancora adesso io sono stressata e ho un forte stato di ansia, perché non c’è solo il Covid, ma anche il post Covid”. Qualche giorno dopo le dimissioni di Carmela dall’ospedale, anche l’ennesimo tampone di Zaira risulta negativo. L’ultima a guarire è Giusina. Sono trascorsi 36 giorni dall’inizio dell’incubo.

L’attesa del vaccino

Adesso la famiglia è in attesa di sottoporsi alla vaccinazione. Giusina e la madre avrebbero dovuto farla il 30 marzo ma si sono ammalate prima. “Non appena si abbasseranno i nostri anticorpi, come da protocollo – precisa Giusina – andremo a vaccinarci, perché è molto importante”.

Il periodo di positività al virus e l’aiuto ricevuto

Nonostante le difficoltà iniziali, Giusina e la madre non esitano a sottolineare di aver incontrato tanti ‘angeli’ sul loro difficile cammino. “Dopo l’arrivo dell’Usca a casa – dicono – sono stati attivati tutta una serie di servizi, tra i quali il supporto psicologico. Una psicologa ci telefonava ogni tre giorni, e gli assistenti sociali dell’Asp di Palermo hanno cercato di risolvere ogni nostro problema. Ad esempio, si è rotta la nostra caldaia: ci hanno mandato un idraulico con tuta, mascherina, guanti, visiera e ogni dispositivo di protezione che l’ha riparata. Oppure, ancora, noi abbiamo un cane: ci sono i volontari del Cisom, unità cinofila di Palermo, che si offrono di portare i cani fuori a fare i loro bisogni. Con il Covid19 tutto è complicato, anche buttare la spazzatura. Non puoi farlo di persona, non puoi darla a nessuno perché la butti per te e non la puoi tenere a casa in quanto si tratta di rifiuti pericolosi. In questo caso si può chiamare un centro di smaltimento rifiuti speciali, che per Palermo è l’Ugri di Carini, i cui operatori gratuitamente, si attivano su segnalazione dell’Usca, e vengono a casa una volta a settimana, lasciando dei cartoni appositi per la raccolta”.

Giusina aiuta gli altri

Giusina fa parte dell’associazione di volontariato Il Genio di Palermo. Oggi si dedica a chi sta purtroppo vivendo la sua stessa situazione. L’associazione da qualche mese infatti affianca gli assistenti sociali dell’Asp che operano in aiuto delle persone bisognose in isolamento a causa della positività. I volontari portano a casa delle famiglie la spesa alimentare o i farmaci. “Io durante la malattia sono stata fortunata – constata Giusina -. Avevo i miei parenti, i miei zii e mio fratello che mi lasciavano dietro la porta di casa quanto mi serviva. Però purtroppo non è per tutti così. Molti non possono provvedere alle loro necessità da soli o non hanno qualcuno che possa aiutarli”.

Cosa può insegnare il Covid

L’ultima domanda, alla quale risponde ancora Giusina, è d’obbligo. Cosa ti ha lasciato questa terrificante esperienza o cosa ti ha insegnato? Giusina osserva senza esitazione: “Mi ha insegnato ad amare ancora di più la mia famiglia. Tutti sono stati speciali. I miei cugini a Pasqua si sono fatti trovare sotto casa con le uova di cioccolato e le tradizionali colombe. E’ stato bellissimo.
Il Covid mi ha insegnato ad avere fiducia nei medici, dobbiamo affidarci a loro, questa è la nostra unica speranza. Infine, voglio invitare tutti a vaccinarsi: alcuni hanno timore, magari di stare male, ma considerate che ogni malessere è solo una minima parte di quello che si prova avendo contratto il Covid19.
Tanti miei familiari e amici, dopo aver sentito i racconti miei e di mia madre, sono andati subito a vaccinarsi, e devo dire che sono molto contenta di poter servire da sprone”.

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